Mercato dell’auto: a luglio ancora un -32% sul luglio del 2011, che era stato orribile

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autoparco deposito 1Pavan Bernacchi: “se continua così, alla fine dell’anno nelle casse dello Stato mancherà un gettito di oltre 3 miliardi di euro, oltre ad avere costretto alla chiusura buona parte dei 3.200 concessionari”

Continua l’andamento decisamente negativo del mercato dell’automobile in Italia. In attesa dei dati ufficiali che la Motorizzazione fornirà il 1 agosto, dalla rete dei concessionari di Federauto arrivano già le prime stime, depurate dall’ondata delle immatricolazioni di “chilometri zero” che avverrà il 31 luglio per centrare quei pochi incentivi che ormai le Case riconoscono ai concessionari, una consolazione che non riuscirà a sollevare i bilanci, anche perché per un’auto a “chilometri zero” significa una svalutazione secca di almeno il 21% senza che questa sia uscita dal piazzale della concessionaria.

Luglio 2012, rispetto allo stesso mese dello scorso anno, segna un parziale del -32% circa: “non è solo un -32%, perché viene paragonato con un 2011 che per il nostro settore è stato orribile. Quindi stiamo perdendo un 32% su un dato che già non consentiva la sopravvivenza della filiera”. Così commenta Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione dei concessionari di autoveicoli di tutti i brand commercializzati in Italia, che aggiunge ironico: “non so spiegarmi questo dato così negativo perché il Governo Monti si è impegnato molto per sostenere la filiera dell’automotive italiana. Ha rincarato le accise sui carburanti – ora tra le più alte del mondo -, ha introdotto il superbollo per le auto prestazionali azzerandone quasi completamente le vendite, spettacolarizzato la lotta all’evasione fiscale, ha aumentato l’Iva, i pedaggi autostradali, l’RC, l’Imposta Provinciale di Trascrizione, il bollo. E nonostante tutti questi ‘supporti’ il mercato italiano flette costantemente di numeri a doppia cifra”.

Federauto rimarca che a farne le spese saranno i 3.200 concessionari di tutti i marchi che, da soli, fatturano circa il 6% del Pil, dando occupazione a circa 178.000 addetti. Addetti di cui sembra non importare niente a nessuno. Ma i numeri totali della filiera degli autoveicoli in Italia sono da brivido: un fatturato pari all’11,4% del Pil e 1.200.000 lavoratori, di cui 220.000 presto ingrosseranno le fila dei disoccupati. O meglio passeranno dagli ammortizzatori sociali, se i fondi della regione di appartenenza non sono ancora esauriti, alla disoccupazione. L’auto, prima dei provvedimenti del Governo Monti, partecipava per il 16,6% al gettito fiscale nazionale. Ora, come per i carburanti, questo inconcepibile accanimento fiscale ha ucciso la domanda e, paradossalmente, proprio lo Stato ‘miope’ introiterà 3 miliardi di euro in meno di tasse entro la fine del 2012. E allora che farà? Probabilmente aumenterà ancora le tasse per distruggere definitivamente i consumi. Una spirale perversa che bisogna spezzare per rilanciare l’economia.

Per Pavan Bernacchi “il teorema per cui, per combattere e recuperare l’evasione fiscale di molti connazionali, si debba uccidere di tasse tutti gli altri, o caricare di imposizioni impossibili, fino all’80% su alcuni settori, verrà inserito nei libri di testo per le future generazioni. Ai posteri l’ardua sentenza ma, a quel che vedo, il disastro è annunciato. Ora per assestare un colpo mortale basterebbe che passasse il ‘porcellum’ contenuto nel Decreto Crescita approvato dalla Camera dei Deputati, all’interno del quale è stato inserito un piano per la diffusione di veicoli a basse emissioni, recependo il testo già approvato dalle Commissioni riunite Trasporti e Attività produttive, provvedimento che getterebbe il mercato auto nel caos con vendite ancora più falcidiate. Ma, oramai, non mi stupisco più di nulla”.

Mentre il leader dei concessionari “non si spaventa più di nulla”, il principale costruttore italiano litiga con il principale costruttore europeo rinfacciandogli politiche di dumping sul fronte dei prezzi. Per Marchionne è sleale il fatto che il gruppo Volkswagen approfitti del basso costo del denaro in Germania per avvantaggiarsi con tassi agevolati sulle vendite rateali alla sua clientela europea. Piuttosto che rimbrottare i tedeschi, Marchionne farebbe meglio a fare mea culpa, visto che pure il gruppo Fiat aveva una propria finanziaria che si è preferito cedere a terzi, perdendo così l’opportunità di agire su una leva fondamentale per agire sul mercato. Di più: se il gruppo Fiat perde di mese in mese quote di mercato in Italia e in Europa, questo lo si deve alle politiche stesse del suo vertice, che s’ostina a non presentare nuovi modelli o a spacciare sotto mentite spoglie quelli della Chrysler, ottenendo i risultati che si merita una simile politica. In una cosa Marchionne ha ragione: quella di non chiedere incentivi pubblici allo Stato. Solo che dovrebbe battere i pugni sul tavolo del Governo Monti per chiedere un trattamento simile a quello vigenti negli altri paesi europei per il comparto auto (dall’acquisto alla manutenzione, all’esercizio, al costo dei carburanti), per far cessare le condizioni sfavorevoli che gravano sui consumatori ed in particolare sulle vetture impiegate dalle aziende. Avere un Fisco in linea con i parametri medi europei consentirebbe imprese di essere più competitive e concorrenziali, favorendo la vendita di almeno 300.000 auto nuove in più ogni anno in modo strutturale. E pazienza se le aziende e professionisti continueranno a comprare in massa Volkswagen, Audi, Mercedes, Bmw, Toyota, Lexus, ecc. per la loro notoria qualità e cura nell’assistere la clientela, come del resto testimoniano le classifiche internazionali della qualità e della soddisfazione dei clienti.