Musica ai Frari 2012, VI edizione ‘Duets’

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Fresu Di Bonaventura 2010 foto Pino Ninfa 1
Fresu  Di Bonaventura 2010 foto Pino Ninfa 1La basilica dei Frari di Venezia ha ospitato i concerti di Gianluigi Trovesi (clarinetti) con Gianni Coscia (fisarmonica) e di Paolo Fresu (tromba, flicorno) con Daniele di Bonaventura (bandoneon)
di Giovanni Greto

Nonostante l’età, sia Gianni Coscia (1931) che Gianluigi Trovesi (1944) hanno ancora voglia di suonare, al punto di affrontare una stancante tournee in Danimarca, come ha raccontato Trovesi, di prendersi in giro in maniera garbata e, soprattutto Coscia, di gigioneggiare. Il pubblico li ascolta divertito nei loro racconti alla fine di ogni brano – saranno 10 in totale per quasi un’ora e mezza di concerto lo scorso 12 ottobre – e si gode una musica colta e popolare, eseguita con gusto in maniera felicemente rilassata.

I due raccontano il lavoro fatto su Jacques Offenbach (1819-1880), il compositore francese di origine tedesca, protagonista del loro ultimo CD ‘Round about Offenbach’(ECM, 2011), eseguendo un continuum di sei piccoli brani, dei quali, dice Trovesi “abbiamo messo a posto gli accordi per far capire finalmente cosa voleva dire Offenbach”. Ci sono dunque gioiosi ¾ che ricordano balere scomparse. E ancora, lsica delle giostre che affascinavano tanto un Coscia bambino in “le giostre di piazza Savona”, ammirate nella natia Alessandria. Trovesi presenta poi un arrangiamento di ‘Django’, il capolavoro di John Lewis dedicato al chitarrista Django Reinhardt, in cui “abbiamo aggiunto un finale migliore di quello originale”, e avanti così a scherzare. C’è anche un brano di Kurt Weill, investigato in un CD di 7 anni fa e finalmente un tango, originale, composto da Coscia in omaggio al compagno e perciò intitolato ‘Tanghesi’. Echi piazzolliani, per comune ammissione di entrambi, e molto spazio alla fisarmonica. Prima di concludere c’è tempo per un curioso siparietto sulla tecnica dei bis. I musicisti, spiega Coscia, entrano ed escono a ripetizione per far durare di più l’applauso, ma in tempi rapidi, altrimenti c’è il pericolo che la platea smetta di battere le mani. Seppur inizialmente intimoriti dal fatto di trovarsi a suonare in un luogo sacro, in cui riposano artisti famosi, i due brano dopo brano si sono sciolti, immersi in un’acustica particolare, contrassegnata da suoni che si propagano più a lungo, rispetto che in un normale auditorium.

Ancor di più hanno puntato sulla unicità auditiva Daniele di Bonaventura e Paolo Fresu nella serata del 3 novembre. Il suono del flicorno è parso ancor più morbido e grazie alle note tenute, di cui il trombettista è maestro in virtù della tecnica della respirazione circolare, si aveva la sensazione che non finisse mai. Per di più, mentre Di Bonaventura rimaneva sempre allo stesso posto, Fresu è sceso dalla pedana continuando a suonare tra la platea fino a collocarsi vicino ad un’enorme massiccia colonna, rivolto verso il compagno. Gli spettatori, così, si sentivano avvolti da un morbido alone sonoro e, seppure non abituati, rimanevano affascinati da un inusitato modo di fruire la musica. Assai vario il repertorio, dal classico (Albinoni, Bach) al Jazz – ha sfiorato il poetico una intensa versione di ‘My one and only love’, incisa tra gli altri da John Coltrane -, a pezzi originali sia di Fresu (‘S’ingiuldu) che di Di Bonaventura (‘Tango’, ‘Corale’). C’è spazio anche per un omaggio alla vecchia canzone romantica del nostro Paese con ‘Non ti scordar di me’ e ad Astor Piazzolla, mediante la riproposizione di un brano ingiustamente considerato minore, in realtà un piccolo capolavoro, come ‘Chiquilin de Bachin’. Prima di concludere, Fresu trova il tempo per dire che”la sacralità della musica non sta nel contenuto, ma nel modo in cui la si respira. E credo che più che sacra la musica abbia un significato mistico e stasera volevamo dare un significato mistico alla musica che suoneremo”. Proposito riuscito, anche grazie alla ricerca del suono migliore che girava intorno alla basilica. Per il bis, richiesto a gran voce, Fresu sale le scale e languidamente, dall’alto, all’altezza del coro, le note del flicorno intonano ‘Fellini’. Il suono si fa più languido e nuovamente nel finale l’artista sardo lascia tutti col fiato sospeso con una interminabile nota tenuta.