Mobilitazione generale delle imprese a Roma: senza imprese non c’è Italia

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presidenti categoria treviso 1Presentata dalle categorie economiche a Treviso la manifestazione del 18 febbraio a Roma

Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confesercenti, Unascom-Confcommercio della Marca Trevigiana aderiscono alla mobilitazione generale promossa da Rete Imprese Italia per chiedere con forza a Governo e Parlamento una svolta urgente di politica economica.

La crisi, la crescita allarmante della disoccupazione e una pressione fiscale, locale e nazionale, che anche nel 2014 rimarrà a livelli intollerabili, rischiano di prolungare i loro effetti sulle imprese, già stremate da forti difficoltà, e provocare un ulteriore impoverimento delle famiglie. Il tempo delle attese è finito.

“Senza l’impresa non c’è Italia. Riprendiamoci il futuro” è lo slogan della manifestazione che vedrà giungere a Roma in piazza del Popolo, martedì 18 febbraio da ogni parte d’Italia, le rappresentanze di imprenditori per chiedere un deciso cambio di rotta.

Il mondo dell’impresa diffusa, dell’artigianato e del terziario di mercato rappresentano il 99,4% delle realtà produttive in Italia (4.800.000 imprese), il 99,2% (77.640) della Provincia e annoverano rispettivamente il 74,9% degli addetti in Italia (12.980.000 addetti) e il 75,4% degli addetti in Treviso (238.000). Dal futuro di questo sistema di imprese dipende il futuro del Paese.

Gli imprenditori vogliono esprimere il profondo disagio per le condizioni di pesante incertezza in cui sono costretti ad operare ma anche avanzare concrete proposte di rapida attuazione che possano evitare il declino economico e ripristinare un clima più positivo e di maggior fiducia nel futuro.

«Non appoggiamo altre forme di rivendicazione ma con senso di responsabilità per portare proposte e rimanendo un baluardo del sistema democratico» esordisce Alfonso Lorenzetto della CNA, secondo il quale «presentiamo le nostre istanze e lo sconforto delle nostre aziende nei confronti della politica all’interno della legalità, con grande senso di responsabilità: siamo dei pompieri, non possiamo più gettare acqua sul fuoco delle nostre aziende. La politica deve smetterla di essere autoreferenziale e dedicarsi al sistema Paese”. Lorenzetto punta al tema del credito bancario: «nel 2013 rispetto al 2012 il credito alle imprese ha subito una contrazione pari a 60 miliardi. Nel dettaglio chiediamo: la riduzione del divario tra quanto le imprese chiedono e le banche erogano (il 20% di finanziamenti viene respinto); una riduzione del costo del denaro ( paghiamo il 3% in più rispetto ai competitor europei); un significativo aumento dei fondi di garanzia al Governo e alla Regione un sostegno ai nostri confidi; la definizione da parte di Abi e Governo di nuovi strumenti finanziari per le imprese in grado di certificare la solvibilità dei clienti».

Mario Pozza, presidente di Confartigianato Marca Trevigiana, focalizza i temi di burocrazia, giustizia, tempi, pagamenti che assillano il mondo dele imprese: «31 miliardi l’anno sono il costo degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese. Sono due punti di PIL e oltre 7.000 euro per impresa di sola burocrazia pubblica. Se i provvedimenti in tema di semplificazione, varati tra il 2008 e il 2012 venissero attuati, verrebbero risparmiati 8,5 miliardi, quasi il 30% in meno. La produzione normativa continua come prima e non tiene conto dell’esigenza di semplificare la pubblica amministrazione non collabora, perché la burocrazia è una sorta di rendita di posizione per l’apparato pubblico». Secondo Pozza, «l’obiettivo semplificazione non viene inserito quale elemento “condizione” o “premiale” per i dipendenti della pubblica amministrazione, a partire dai dirigenti. La stessa “Bassanini”, che ha tolto funzioni decisionali agli amministratori comunali conferendole ai tecnici, ha concorso a moltiplicare, per 2, per 4, talvolta per 5 i tempi di risposta, i costi di riposta e i disagi». C’è anche il tema dei pagamenti in forte ritardo: «l’Italia, che ha il 12% del PIL Europeo, ha il 36% dei crediti da pubblico» sbotta Pozza, per il quale «a fronte della decisione di recuperare il forte ritardo, per una tranche di 50 miliardi decisa dal Governo Monti, ad oggi non si sa realmente quanti ne siano stati pagati. Le stime più benevole parlano di 8 – 10 miliardi. La catena delle conseguenze è abnorme e non diminuisce il numero di imprese che sono in crisi per ritardati pagamenti. La legge sui tempi dei pagamenti di fatto è inesigibile. La pubblica Amministrazione paga, mediamente, dopo 104 giorni, 74 giorni dopo i 30 giorni previsti per legge. I ritardati pagamenti incidono sul 24% del fatturato complessivo delle Piccole Imprese».

Chi intraprende ha su di sé la spada di Damocle della giustizia che funziona poco e male: «la durata media dei processi tocca i 5 anni fino al secondo grado di giudizio e la durata media delle procedure fallimentari raggiunge i 9 anni – dice Pozza – e il tutto provoca un costo per conseguente ritardo della riscossione crediti pari a 1 miliardo e 200 milioni di euro a cui si aggiunge un altro miliardo di oneri indiretti. Anziché favorire il debitore in crisi, sta emergendo un utilizzo di questi strumenti per prendere tempo, per bloccare le iniziative dei creditori e, peggio, per danneggiare taluni (guarda caso i piccoli) a danno di altri. Chiediamo al legislatore di rivedere la materia ed ai tribunali di essere molto più severi e attenti all’interesse di tutti i creditori, compresi i piccoli».

Il tema della regolamentazione del lavoro è stato affrontato da Piergiovanni Maschietto (Casartigiani): «nella provincia di Treviso i casi di apertura di crisi aziendale da gennaio a dicembre 2013, sono 452, con un aumento dell’anno precedente del 28,4%. I casi di CIG, ordinaria e straordinaria, sono 23.225, sempre per l’anno 2013, con un aumento del 9,3%. Regge il settore del commercio, con un incremento dell’1,7% trainato comunque dal commercio estero, non dal consumo interno. Crolla il comparto dell’edilizia, già particolarmente vessato da un andamento negativo negli anni precedenti perdendo nell’ultimo trimestre 2013 un 4,8% nel fatturato e un 4,5% negli ordini». Secondo Maschietto «l’allarme riguarda soprattutto l’occupazione giovanile. Dobbiamo rimettere mano alla riforma Fornero, favorire il ricambio generazionale. E’ inaccettabile che in un sistema previdenziale, ormai di stampo contributivo, artigiani e commercianti vadano in pensione dopo 18 mesi dall’aver maturato i requisiti, sopportando un ulteriore aggravio di 6 mesi rispetto ai 12 dei lavoratori dipendenti. E’ un incentivo al lavoro nero. Chiediamo ci sia maggior attenzione per le piccole aziende che non delocalizzano né il lavoro né i capitali. I lavoratori dell’artigianato hanno diritto ad avere maggiori supporti economici e cassa integrazione al pari dei lavoratori delle grandi aziende».

«Andiamo a Roma perche la questione fiscale è centrale – dice Guido Pomini, presidente di Unascom-Confcommercio – tutti stiamo pagando troppo: lavoriamo per il fisco sino al 22 giugno. Si è rotto un patto sociale: non abbiamo la contropartita in termini di servizi, miglioramento della qualità della vita. Lo Stato continua a presentarci il conto e le nostre imprese non sono più disposte a pagarlo, avanziamo 90 miliardi ed al ritmo di 20 all’anno l’ultimo li prenderà nel 2018. Abbiamo una pressione fiscale effettiva che arriva al 54%, al sesto posto in Europa. Paghiamo tutti, ma ci etichettano come evasori quando tutto il nostro mondo dal 1998 è soggetto agli studi di settore. Sulla partita dei servizi a favore di giovani e famiglie, siamo al pari di Malta, in posizione molto arretrata rispetto alla Francia e alla Germania. Ci siamo mangiati il futuro, ma ora dobbiamo rivendicare lo stesso futuro alle nostre imprese».

Sabino Frare di Confesercenti punta sulle politiche di rilancio che finora sono mancate: «stiamo sopravvivendo ad una crisi di domanda: urge la definizione di politiche che restituiscano liquidità alle famiglie, per rilanciare i consumi e riattivare un circuito virtuoso nella produzione del prodotto interno. Il problema fondamentale è quello di ricercare risorse alle quali attingere per dare ossigeno alle nostre imprese e l’unica via percorribile è quella di tagliare la spesa pubblica, procedere ad una ristrutturazione puntuale dello stato e dei servizi che lo stesso eroga. Nella provincia di Treviso, in questi ultimi sei anni, si sono registrate 35.000 chiusure d’imprese a fronte di 32.000 nascite, confermando quindi un trend negativo».