“Néant”, l’ultimo album del Mario Piacentini Sextet

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piacentini-il-nordestquotidianoIncipit Records pubblica il lavoro del compositore cremasco
di Giovanni Greto

E’ una piacevole sorpresa l’ultimo album di Mario Piacentini. Per chi non lo conosce, Piacentini nasce a Trescore Cremasco nel 1957, si diploma in pianoforte al conservatorio e da lì inizia una carriera artistica che lo vede, oltre che musicista, arrangiatore, compositore e autore di colonne sonore per il cinema. In “Néant” si ascolta una musica contemporanea che tende a conglobare le varie formazioni coltivate dal leader.

L’idea che i brani trasmettono, che pervade soprattutto i finali, comunica il senso di vuoto, che magari le parole non riescono ad esprimere, attraverso la musica. Si genera in tal modo una sensazione che avvicina l’ascoltatore al “nulla”. Tutto questo è spiegato in maniera esaustiva e scientifica, nella dotta introduzione che apre il libretto, scritta da un ex compagno di studi filosofici. Sette degli undici titoli sono interamente di Piacentini. Due sono scritti in quartetto da chi li interpreta, uno dal russo Arkady Shilkloper, tra i più richiesti musicisti di corno francese, il quale in due brani si esibisce al monumentale alphorn (il corno delle alpi): il suo “Way to Bergamo” e l’iniziale “Richiami”, l’unico scritto in sestetto, caratterizzato da rilassanti atmosfere ambient.

S’incontra il Jazz in “Kaleidoscop”, un ¾ medio-lento, che cresce in intensità con il trascorrere del tempo. E’ uno dei quattro brani eseguiti dall’ensemble al completo. Colpiscono le due tracce in duo. Nella prima, “Nebbia”, Piacentini e Gianluigi Trovesi, al clarinetto contralto, comunicano con i loro strumenti quelle tipiche sensazioni da tutti provate quando si è immersi in una giornata nebbiosa. In “Acrobati” a Piacentini si affianca Shilkloper: è un breve, gradevole brano, che sembra descrivere i movimenti coreografici, appunto, di una coppia di acrobati, quasi una colonna sonora per una pellicola del periodo muto. Efficace la sezione ritmica, composta dal contrabbassista parmense Roberto Bonati e dal batterista bresciano Marco Tonin, che collabora con il pianista fin dai primi anni ’80. Ottima la scelta del sassofonista norvegese Tor Yttredal, qui esclusivamente al soprano, il quale sembra interpretare l’elemento onirico che affiora nelle diverse composizioni. Tornando a Shilkloper, è da sottolineare la sua bravura negli unisoni e nelle note ferme e la scelta in “Way to Bergamo” di dar vita a duetti tra il corno francese e la batteria e il sax soprano e la batteria, lasciando ad un ritmico assolo di pianoforte il compito, in qualche maniera, di scrivere un commento alla composizione. “Noi”, il brano collocato a metà scaletta, è invece l’unico per pianoforte solo, inserito, secondo l’intenzione dell’autore, come fosse un quadretto che lo rappresenta. C’è forse il rischio di cadere nel troppo dolce, nell’eccesso di zucchero, ma è quello che in quel momento sente il compositore, cui va il merito di comunicarlo in maniera sincera.