Inflazione a settembre in calo (+0,1% su base annua), cresce solo l’indice della verdura e frutta fresca

0
360
euro soldi monete 2
Allarme dei produttori agricoli e dei consumatori: «ripresa economica ancora troppo stentata e a rischio di nuova recessione»

 

euro soldi monete 2A settembre 2015 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, diminuisce dello 0,4% su base mensile e aumenta dello 0,2% su base annua (la stima preliminare era +0,3%), facendo registrare lo stesso tasso tendenziale dei tre mesi precedenti. Lo rende noto l’Istat. 

La stabilità dell’inflazione è la sintesi di dinamiche di segno opposto di alcune tipologie di prodotto: l’accelerazione della crescita tendenziale dei prezzi degli alimentari non lavorati (+3,3%, da +1,9% di agosto) e l’inversione della tendenza di quelli dei servizi relativi ai trasporti (+0,8%, da -0,1% del mese precedente) sono bilanciati dall’ulteriore caduta dei prezzi degli energetici non regolamentati (-12,8%, da -10,4% di agosto). Al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici, l’“inflazione di fondo” sale allo 0,8% (era +0,7% ad agosto); al netto dei soli beni energetici si porta allo 0,9% (da +0,8% del mese precedente). La diminuzione su base mensile dell’indice generale è da ascrivere principalmente al ribasso – su cui incidono fattori di natura stagionale – dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (-4,0%), parzialmente compensato dall’aumento dei prezzi degli alimentari non lavorati (+1,7%). L’inflazione acquisita per il 2015 scende a +0,1% (era +0,2% ad agosto). Rispetto a settembre 2014, i prezzi dei beni fanno registrare una flessione dello 0,5% (era -0,4% ad agosto), mentre il tasso di crescita dei prezzi dei servizi sale a +0,9% (da +0,7% di agosto). Di conseguenza, rispetto a quanto rilevato ad agosto 2015, il differenziale inflazionistico tra servizi e beni si amplia di tre decimi di punto percentuale.

I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,6% su base mensile e dell’1,2% su base annua (da +0,7% di agosto). I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto sono stazionari in termini congiunturali e registrano una flessione dello 0,3% nei confronti di settembre 2014. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta dell’1,6% su base mensile e dello 0,2% su base annua, in rallentamento dal +0,4% di agosto. La stima preliminare è confermata. 

L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, diminuisce dello 0,4% rispetto al mese precedente e dello 0,1% rispetto a settembre 2014. In quasi tutte le ripartizioni geografiche i prezzi fanno registrare tassi tendenziali positivi, con valori stabili nel Centro (+0,4%), nel NordOvest (+0,2%) e nel NordEst (+0,1%) o in lieve accelerazione al Sud (+0,2%, da +0,1% ad agosto); solo nelle Isole la variazione su base annua dei prezzi risulta negativa (-0,1%, era nulla il mese precedente). Nel CentroNord, otto regioni – come ad agosto – registrano prezzi in crescita su base annua. I maggiori aumenti, con tassi tendenziali in lieve accelerazione, interessano Lazio (+0,6%), Lombardia e Trentino-Alto Adige (+0,4% per entrambe le regioni); seguono, con una crescita dei prezzi dello 0,3%, Toscana e Marche, mentre aumenti più contenuti si registrano per Liguria (+0,2%), Friuli-Venezia Giulia (stabile a +0,1%) ed Emilia-Romagna (+0,1%, dal -0,1 di agosto). Valori tendenziali negativi, seppur di modesta entità, si registrano in Umbria (-0,2%), Piemonte e Valle d’Aosta (-0,1% per entrambe le regioni); in Veneto i prezzi sono fermi su base annua. 

Nel Mezzogiorno solo in due regioni – contro le quattro di agosto – si rilevano incrementi su base annua dei prezzi, con tassi stabili sui valori di agosto: Abruzzo (+0,5%) e Campania (+0,4%). Variazioni tendenziali negative, pari a -0,1%, si registrano in Puglia, Basilicata e Calabria, mentre in Sicilia e Sardegna i prezzi sono fermi su base annua. 

Per quanto riguarda i capoluoghi delle regioni e delle province autonome, Milano (+0,7%, in accelerazione dal +0,4% di agosto) è la città in cui i prezzi registrano gli incrementi più elevati rispetto ad agosto 2014; seguono Roma con un incremento su base annua stabile e pari a +0,6% e Bolzano (+0,5%, dal +0,7% di agosto). Con riferimento ai rimanenti capoluoghi di regione, in otto di essi si rilevano aumenti su base annua dei prezzi: da segnalare la ripresa dell’inflazione a Trento (+0,3%, dal -0,1% di agosto). A Catanzaro i prezzi sono fermi su base annua. Nelle restanti otto città, si registrano cali tendenziali dei prezzi compresi tra il -0,3% di Perugia e il -0,1% di Bologna, Bari, Potenza, Palermo e Cagliari. Con riferimento ai comuni con più di 150.000 abitanti che non sono capoluoghi di regione, i prezzi sono in aumento su base annua in sei città: i più elevati tassi di crescita, pari a +0,6%, interessano Parma e Livorno; cali tendenziali si rilevano a Catania (-0,3%) e Ravenna (-0,2%). A Padova, Modena e Brescia i prezzi sono fermi su base annua.

A incidere sui dati dell’inflazione di settembre «sono soprattutto i prezzi di verdura e frutta fresca. Ma gli agricoltori non traggono alcun vantaggio da questa “fiammata” dei prezzi al consumo, perché sui campi le quotazioni restano “a terra” tanto che sempre più spesso non si riescono neppure a coprire i costi di produzione» commenta Cia-Confederazione italiana agricoltori ai dati sull’inflazione diffusi dall’Istat. 

Con l’aumento dei prodotti alimentari (+1,5% su base annua), fa notare l’associazione, «si allontana lo spettro della deflazione, che per tanto tempo ha relegato l’economia italiana in un angusto spazio in cui la domanda interna si è tradotta in un calo costante e verticale dei consumi, a partire da quelli essenziali come il cibo. Una crescita equilibrata dei prezzi – evidenzia la Cia – può derivare innanzitutto da un ritrovato potere d’acquisto delle famiglie». «Accanto a questo, però, è urgente che la tendenza positiva dei prezzi alimentari sia velocemente trasferita sulle fasi a monte della filiera. Sono sempre di più i casi e i settori in cui le aziende agricole con le loro vendite non riescono a remunerare i costi di produzione. Solo nel secondo trimestre dell’anno, infatti, i prezzi dei prodotti venduti dagli agricoltori hanno perso oltre il 4% del loro valore rispetto a inizio 2015, con un crollo drastico proprio per l’ortofrutta (-11%). Ecco perché – conclude l’associazione – ora è necessario mettere in campo iniziative e strumenti necessari a trasformare in reddito i segnali di ripresa che giungono dai prezzi al consumo».

Per Coldiretti a pesare sul carrello della spesa sono soprattutto i prezzi della verdura che crescono del 13,5% a settembre, rispetto all’anno precedente ma nei campi i compensi corrisposti agli agricoltori che non coprono ormai neppure i costi di produzione. Secondo Coldiretti, sulla base delle previsioni Ismea-Nielsen relative al 2015, «la spesa alimentare è uno speciale indicatore dello stato dell’economia nazionale poiché si tratta della principale voce del budget delle famiglie dopo l’abitazione con un importo complessivo di 215 miliardi. Il cambiamento deve ora trasferirsi alle imprese agricole con una adeguata remunerazione dei prodotti che in molti casi s trovano tuttora al di sotto dei costi di produzione».

Per Federconsumatori e Adusbef «il dato sull’inflazione mostra ancora incertezza sull’andamento economico del nostro Paese e che testimonia come ci sia ancora molto da fare per avviare e sostenere una vera ripresa. Ripresa che, da molti segnali, appare ancora molto distante. Basta guardare alla disoccupazione, specialmente quella giovanile, che ancora viaggia su livelli altissimi. Oppure, per rendersi pienamente conto della dimensione catastrofica della crisi di questi anni, bisogna prendere in considerazione la contrazione dei consumi che, solo nel triennio 2012-2013-2014, sono diminuiti del 10,7%, pari complessivamente a 78 miliardi di Euro. Il potere di acquisto delle famiglie, invece, dal 2008 ha subito una contrazione del -13,4%».

Massimiliano Dona, segretario dell’Unione nazionale consumatori, «anche se ridimensionata rispetto ai dati provvisori, da +1,3 a + 1,2, l’impennata su base annua dei pezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona ci preoccupa. L’incremento dei prezzi del carrello della spesa è allarmante. Per una tradizionale famiglia, una coppia con 2 figli, l’aumento dell’1,2% significa pagare, in termini di aumento del costo della vita, 93 euro in più su base annua». Secondo i calcoli dell’Unc, l’incremento dell’1,2% determina, su base annua, un aumento, per la sola spesa di tutti i giorni, di 86 euro per una coppia con 1 figlio, 79 euro in più per una coppia senza figli tra 35 e 64 anni, 47 euro per un pensionato con più di 65 anni, 50 euro per un single con meno di 35 anni. «I dati di oggi dimostrano anche che gli italiani hanno subito una stangata ingiustificata sulle loro vacanze. Nel solo mese di agosto ci sono stati aumenti rispetto a luglio anche del 38,9%, come per il trasporto marittimo. Prezzi che poi a settembre sono letteralmente precipitati. Per il trasporto marittimo il calo mensile è stato del 39,6% Peccato che le vacanze siano nel frattempo finite!» ha proseguito Dona. «In pratica, gli italiani nel mese di agosto hanno viaggiato pagando i rialzi bulgari dei trasporti aerei, marittimi e dei pacchetti turistici, poi a settembre i prezzi si sono abbassati, ma nessuno, ovviamente, ha potuto beneficiare di queste riduzioni, dato che abbiamo la pessima abitudine di dover tornare al lavoro e mandare i figli a scuola. Naturalmente, questi abbassamenti stagionali hanno inciso sulla riduzione mensile dell’indice generale, ma non certo sulla riduzione del costo della vita» ha concluso il segretario dell’Unc.