L’impianto di Protonterapia a Trento costa 37.000 euro al giorno

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Il macchinario viaggia da mesi a ritmo ridotto per via della mancanza del riconoscimento neiLea nazionali della metodica curativa. Allarme tra gli amministratori provinciali per un investimento già costato 104 milioni di euro

 

protonterapia trentoProtonterapia a Trento continua a viaggiare sempre a rimo molto lento e rischia di trasformarsi in una cattedrale nel deserto costata la bellezza di 104 milioni di euro di costruzione vera e propria, cui vanno aggiunti 9,3 milioni di canone annuo per la manutenzione delle macchine, 2,2 milioni per il personale, oltre a 2 milioni di euro circa per spese vive. 

Cifre che iniziano a preoccupare gli amministratori del Trentino, partiti baldanzosamente cinque anni fa con un progetto tecnicamente all’avanguardia (allora di impianti siffatti in tutt’Europa si contavano sulle dita di una mano o poco più), forti delle disponibilità finanziarie di un’Autonomia speciale ancora ricca (l’allora presidente della provincia Lorenzo Dellai non esitò a buttare sulla partita un centinaio di milioni di euro), ma che oggi, ad oltre 1.500 milioni di euro tagliati dal bilancio provinciale a causa delle varie manovre di solidarietà imposte da Monti, Letta e Renzi, sono visti in luce diametralmente diversa, visto che le spese correnti ammontano a quasi 14 milioni di euro 37.000 al giorno. Tanti anche per un’Autonomia speciale azzoppata di un terzo del suo ricco bilancio.

Il problema sta tutto nei ritardi con cui il ministero alla Sanità sta deliberando sull’inclusione della protonterapia nell’elenco dei Lea, i Livelli essenziali di assistenza, con cui un malato può curarsi con la nuova tecnologia senza essere costretto a pagarsela di tasca propria (un ciclo di trattamenti costa da 25 a 30.000 euro). Solo alcune regioni (Veneto, Marche Liguria) hanno sottoscritto convenzioni dirette con la sanità trentina, riconoscendo a posteriori il costo delle cure per i loro residenti, che possono sottoporsi alla protonterapia solo dietro esplicita autorizzazione rilasciata dalle loro Asl. I numeri con le convenzioni sono però ancora bassi: si parla di poco più di 100 pazienti curati dall’avvio del Centro, rispetto ai 700 all’anno previsti a pieno regime con le due camere in attività.

Anche se dovesse essere introdotta nei Lea, secondo il primario del centro Maurizio Amichetti è che la protonterapia sia riconosciuto per un ristretto ambito di patologie, per tumori molto rari, nonostante «tutti i pazienti pediatrici possano trarre grande beneficio di questo genere di cure» sottolinea il medico.

La soluzione nell’immediato è di allargare l’offerta del servizio all’estero: «abbiamo già avuto pazienti da Austria e Polonia e questo naturalmente va bene. Ci dobbiamo quindi muovere su più fronti. Accreditarci a livello internazionale come struttura all’avanguardia con tecnologie più recenti; proseguire con le convenzioni con le regioni, promuovendo la nostra attività e poi, contestualmente, fare pressing perché l’inserimento nei Lea sia nella forma più estesa possibile. Ci sono numeri tali che non è pensabile che tutti i tumori siano curabili con protonterapia. Ma tra minimo e massimo c’è una via di mezzo che è scientificamente sostenibile» conclude Amicehtti amareggiato dai tira e molla della politica e della burocrazia ministeriale.