“Dieselgate”, i controlli condotti dopo la scoperta dello scandalo evidenziano tassi di inquinamento reali molto maggiori di quelli dei cicli di omologazione

0
502
Vw 2010 nuova Sharan motore diesel TDi
Vw pronta intesa con le autorità Usa con indennizzi vicini a 16 miliardi di euro. Ancora nulla per i consumatori europei. Indagini anche a carico di Peugeot, gruppo Fiat e di Mercedes

 

Vw 2010 nuova Sharan motore diesel TDiSi allarga sempre di più la portata dello scandalo del “Dieselgate” relativo alle emissioni inquinanti dei motori diesel iniziato con i motori del gruppo Audi Volkswagen da 2.0 e 1.6 litri che montavano una centralina con programma di gestione alterato. A seguito delle prove condotte sui veicoli in condizioni di utilizzo reale da parte delle autorità di omologazione dei vari paesi europei e di organismo indipendenti, emerge sempre più chiaramente che i valori omologati nel corso degli asettici cicli di prova in laboratorio sono decisamente distanti (anche fino a dieci volte minori) di quelli effettivamente riscontrati nella guida di tutti i giorni, con il risultato che le emissioni inquinanti effettive sono decisamente superiori a quelle consentite dalle norme in vigore.

Mentre il Parlamento Europeo pare piegarsi alla ragion di stato di realtà come quella tedesca che nell’industria automobilistica ha un formidabile apparato economico che porterà all’innalzamento provvisorio dei limiti di legge per le sostanze inquinante emesse dagli scappamenti dei veicoli (con buona pace della salute dei cittadini europei ancora una volta piegata sull’altare del Dio denaro) sta arrivando al termine una parte dello scandalo che ha coinvolto il gruppo Audi Volkswagen negli Stati Uniti. Il gruppo per evitare sanzioni ancora più pesanti ha predisposto a favore dei circa 500.000 clienti che hanno acquistato nel corso degli ultimi anni vetture motorizzate con quello che doveva essere il “diesel pulito” proposte di riacquisto dei veicoli non conformi o un indennizzo per il danno subito. Il totale del pacchetto predisposto dal gruppo di Wolfsburg dovrebbe ammontare a circa 15 miliardi di euro. Ancora nulla di deciso per i veicoli equipaggiati dal motore diesel V6 3.0 litri, anch’esso finito nella lista nera degli inquinatori.

Se per il fronte americano le cose si stanno delineando con una soluzione positiva per i consumatori, viceversa sul fronte europeo ancora non si è deciso nulla circa i risarcimenti ai consumatori che hanno riposto la fiducia nel prodotto tedesco. Nel vecchio continente sono stati immatricolati circa 8,5 milioni di veicoli non conformi, oltre ai danni che i vari fondi d’investimento hanno patito con il crollo delle quotazioni del titolo Volkswagen. Alcuni analisti finanziari stimano un ulteriore onere a carico del gruppo Vw per circa 40 miliardi di euro.

La tempesta sulle emissioni non conformi dei motori si allarga anche ad altri costruttori. A Parigi la sede del gruppo Psa Peugeot Citroen è stata perquisita dalla polizia antifrode francese nell’ambito di un’inchiesta sui livelli di emissioni inquinanti delle automobili. 

A Londra il ministero dei Trasporti britannico ha comunicato i risultati dei test su 37 modelli di auto con motori diesel (18 Euro 5 e 19 Euro 6): tutti e 37 hanno superato in condizioni di guida reale i valori ammessi di emissioni di ossidi di azoto. Per quanto riguarda gli Euro 5, i valori vanno da un minimo di tre volte i limiti a un massimo di dieci volte. Il ministero ha precisato che i costruttori «non hanno fatto nulla di illegale» in quanto il loro obbligo è solo di rispettare i limiti nelle condizioni di test.

Qualche nuvola pare addensarsi anche su Mercedes: l’Epa, l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, ha dichiarato di aver richiesto informazioni alla Daimler nel febbraio scorso alla luce di una causa intentata da alcuni proprietari di vetture Mercedes-Benz che sostenevano che ci fossero generiche irregolarità nelle emissioni di ossidi di azoto alle basse temperature. L’agenzia, allora, non aveva aperto un’indagine ufficiale. Agli inizi di aprile, però, i proprietari, hanno presentato un’altra “class action”, ipotizzando questa volta che le vetture siano provviste di un software per la modifica dei valori delle emissioni. Secondo l’accusa, i motori Mercedes-Benz dotati di tecnologia “BlueTEC” (che impiegano l’additivo a base di urea AdBlue per abbattere le emissioni inquinanti) su strada emetterebbero quantità di ossidi di azoto molto più elevate rispetto a quelle rilevate durante le verifiche effettuate in laboratorio. La Mercedes-Benz ha respinto tutte le accuse, dichiarando che le cause sono prive di fondamento e che adotterà tutte le misure legali per difendersi.

Sul fronte europeo, secondo un rapporto diffuso a Berlino, oltre ai costruttori tedeschi ad inquinare più del dovuto ci sarebbero pure i motori prodotti da Fiat, Alfa Romeo e Jeep ma anche Ford, Renault, Volvo, Chevrolet, Hyundai, Nissan e Suzuki. E qualcuno vorrebbe anche tirare in ballo la Bosch, azienda produttrice dei sistemi di iniezione ad alta pressone il cui software – alterato nel caso dello scandalo Volkswagen – parrebbe non rispettare appieno le norme antinquinamento in talune situazioni di funzionamento dei propulsori.

Da qualunque parte si guardi lo scandalo, emerge il fatto che il propulsore a gasolio, seppur apprezzato per i minori consumi (e, conseguentemente, per le emissioni ridotte di anidride carbonica in atmosfera) ha comunque un livello di emissioni superiori in fatto di particolato e di ossidi di azoto, la cui limitazione entro le nuova soglie Euro 6 sta comportando ulteriori costi aggiuntivi sui singoli propulsori tali da farne scomparire l’utilizzo sulle vetture leggere. In attesa che l’industria metta sul mercato veicoli elettrici con autonomia sufficiente e prezzi concorrenziali, per inquinare meno l’unica via è quella del motore a ciclo Otto adeguato ad impiegare il Gpl o il metano.