Italia, l’Istat aggiorna il calcolo della crescita del Pil: anno chiuso all’1%

0
798
grafico indice crescita 2
Per il 2017 il tendenziale è all’1,1%, valore che è la metà della media europea e il più basso dei grandi paesi della Comunità. Istat presenta anche uno studio sulla competitività del Paese

grafico indice crescita 2L’Istat ha reso noto il calcolo definitivo della crescita del Pil nel IV trimestre 2016 elaborato in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato: la crescita è stata dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dell’1,0% nei confronti del quarto trimestre del 2015. La stima preliminare diffusa il 14 febbraio scorso scorso aveva rilevato un aumento congiunturale dello 0,2% e una crescita tendenziale dell’1,1%. Il quarto trimestre del 2016 ha avuto tre giornate lavorative in meno del trimestre precedente e due in meno rispetto al quarto trimestre del 2015.

Nel 2016 il Pil corretto per gli effetti di calendario è aumentato dell’1,0% (il 2016 ha presentato due giornate lavorative in meno rispetto al 2015). Questo risultato è coerente con la stima del Pil diffusa il primo marzo (0,9% di crescita annua). La variazione acquisita per il 2017 è pari a +0,3%. Rispetto al trimestre precedente, i principali aggregati della domanda interna sono aumentati, con una crescita dello 0,2% dei consumi finali nazionali e dell’1,3% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni sono aumentate del 2,2% e le esportazioni dell’1,9%.

La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito alla crescita del Pil per 0,4 punti percentuali (apporto nullo i consumi delle famiglie e delle Istituzioni sociali private (ISP), 0,1 punti la spesa della pubblica amministrazione e 0,2 punti gli investimenti fissi lordi). La variazione delle scorte ha contribuito negativamente per 0,2 punti percentuali, mentre il contributo della domanda estera netta è stato nullo. Il valore aggiunto è cresciuto dello 0,8% nell’industria, ha segnato una variazione nulla nei servizi ed è diminuito del 3,7% nell’agricoltura.

«Se da un lato la crescita tendenziale del Pil a fine 2016 è stata rivista marginalmente verso il basso, dall’altro lato il dettaglio delle componenti appare migliore del previsto (il Pil al netto del contributo delle scorte sarebbe aumentato di 0,4% trimestre su trimestre; conforta in particolare la crescita degli investimenti, anche sulla scia della revisione al rialzo dei dati dei trimestri precedenti)»  afferma in una nota Paolo Mameli, senior economist della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, commentando i dati Istat appena diffusi. «In prospettiva, pensiamo che il Pil possa mantenere l’attuale velocità di crociera (0,2% trimestre su trimestre, 1% anno su anno) anche a inizio 2017. Occorrerà – sostiene Mameli – aspettare il dato sulla produzione industriale di gennaio (in uscita il prossimo 13 marzo), vista correggere dopo il balzo in qualche modo “anomalo” di dicembre per farsi un’idea più precisa circa l’entità della crescita congiunturale del Pil nel I trimestre. Peraltro, l’andamento recente delle indagini di fiducia delle imprese, in particolare nel settore manifatturiero, appare coerente con una accelerazione in area 0,3% trimestre su trimestre nel corso dell’anno. Confermiamo perciò la nostra stima di una crescita media annua 2017 in linea con quella del 2016 (0,9% grezza ovvero 1% corretta per i giorni lavorativi)».

Scettica Unimpresa sulla reale portata della crescita nazionale per bocca del suo presidente, Giovanna Ferrara: «la revisione al rialzo della crescita del Pil 2016 è solo un timido segnale che non cancella, tuttavia, le nostre preoccupazioni per il futuro. La crescita economia del Paese è ancora modesta, inferiore di sette punti percentuali rispetto al 2008, quando la crisi ha cominciato a prendere forma. Per tornare a quei livelli, dobbiamo tornare a crescere a ritmi ben più consistenti e perciò servono, da parte del governo e del Parlamento, misure più incisive». 

«La ripresa c’è, la crescita del Pil nel 2016 e la più alta dal 2010 – ha detto il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva -. Usciamo con una parte del sistema produttivo fuori dalla seconda recessione: lo facciamo sicuramente con l’industria manifatturiera, con differenze nei vari settori, e meno nei servizi. C’è un contributo invece negativo nelle costruzioni e, quest’anno, anche nell’agricoltura».

Ma lo stesso Istat rileva, nel suo V Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, che la palla al piede della crescita nazionale è dato dalla competitività, in recupero ma con un rimo di crescita ancora troppo modesto. «Le tendenze macroeconomiche recenti – si legge nel report – segnalano da un lato un chiaro recupero di competitività del nostro sistema produttivo, dall’altro un ritmo di crescita ancora modesto, soprattutto nei confronti delle principali economie europee. La ripresa ciclica dell’economia italiana è accompagnata da un aumento dell’export e da un rafforzamento della quota di esportazioni di beni su quelle mondiali. Nella nuova fase di ripresa però, cambia il contributo della domanda estera netta al Pil, che diviene negativo a causa di un aumento di volumi importati superiore all’incremento di quelli esportati». 

Sul piano settoriale, un’indagine qualitativa sulle valutazioni delle imprese di manifattura e servizi mette in luce che i segnali di ripresa sono diffusi nel sistema produttivo, in termini di tenuta o aumento del fatturato, capacità produttiva, capitale umano qualificato, possibilità di reagire a eventuali aumenti di domanda. Tuttavia, l’indicatore sintetico di competitività settoriale (Isco) conferma, nonostante la ripresa, la divergenza nella performance dei singoli comparti manifatturieri: in una graduatoria di competitività, i settori che occupavano le prime posizioni nel 2011 sono quelli più competitivi anche nel 2014 e gli stessi che hanno registrato i migliori progressi anche nel 2015-2016.