Fondazione Arena di Verona, il direttore Allemandi e il violinsta Krylov protagonisti del secondo concerto della Stagione sinfonica

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Orchestra e Coro dellArena di Verona FotoEnnevi 260517
Al Teatro Filarmonico saranno eseguite pagine di Paganini, Berlioz e Kodály

Orchestra e Coro dellArena di Verona FotoEnnevi 260517Venerdì 16 febbraio (ore 20.00; replica sabato 17 febbraio, ore 17.00), prosegue la Stagione sinfonica 2018 di Fondazione Arena al Teatro Filarmonico di Verona con il secondo concerto in programma su musiche di Paganini, Berlioz e Kodály.

Il direttore milanese Antonello Allemandi, dopo la felice esperienza omanita del gennaio scorso con i complessi artistici areniani, un’assenza di 12 anni e una carriera internazionale sale nuovamente sul podio del Teatro Filarmonico. Accanto a lui in apertura del concerto il violinista Sergej Krylov, più volte presente nelle stagioni sinfoniche di Fondazione Arena e sempre attesissimo dal pubblico del Filarmonico, per il pirotecnico Concerto per violino e orchestra n. 4 in re minore di Niccolò Paganini. 

Ultimo lavoro del compositore genovese pervenutoci completo, composto negli anni della tournée europea fra il 1829 e il 1830, il Quarto Concerto si pone in linea con i precedenti, soprattutto nel finale che rimanda alla celebre Campanella del Concerto n. 2, per esprimere uno spiccato virtuosismo teso al superamento dei limiti esecutivi, «ispirazione per la giovane generazione romantica – per Schumann, ma anche per Liszt e Chopin» che vedeva in Paganini un modello da imitare. Tuttavia in questo concerto si nota una particolare attenzione nei confronti delle parti orchestrali, senza comunque tralasciare il duplice compito affidato al violino: «Da una parte troviamo l’espressione cantabile, elegiaca, affidata a una melodiosità pura e lirica; dall’altra parte invece il solista fa ricorso alle mirabolanti trovate destinate a stupire le platee europee, ma questi ultimi momenti sono convogliati in sezioni ben definite della partitura, in modo da acuire la tensione espressiva prima del ritorno, liberatorio, dei temi principali» (Arrigo Quattrocchi).

Segue una partitura più ricercata per orchestra e coro, Tristia op. 18 di Hector Berlioz, creata dall’unione nel 1852 di tre composizioni nate separatamente in tempi diversi. I tre movimenti, intitolati Méditation religieuse (1831), La mort d’Ophélie (1842 per voce e pianoforte, quindi adattato nel 1848 per orchestra e coro femminile) e Marche funèbre pour la dernière scène d’Hamlet (1848), sono rispettivamente ispirati a testi di Thomas Moore nella traduzione francese di Louise Belloc, Ernest Legouvé e William Shakespeare. Questo lavoro è emblematico del percorso artistico di Berlioz in quanto rappresenta, grazie al coinvolgimento della voce nel lavoro orchestrale, la sempre crescente tendenza alla drammatizzazione; partendo quindi dalla musica “a programma”, il compositore arriva a creare una struttura molto vicina a quella dell’opera, creando una sorta di «oratorio profano a cui mancano solo le scene».

Concludono il programma le raffinate quanto sfavillanti Danze di Galánta di Zoltán Kodály, partitura tra le più note ed eseguite del compositore ungherese, in cui l’orchestra segue una struttura formale piuttosto libera che, dopo un’introduzione affidata ai violoncelli, si snoda in cinque danze in progressiva accelerazione. La composizione nasce nel 1933, su commissione per l’ottantesimo anniversario dalla fondazione della Società Filarmonica di Budapest, e Kodály da sapiente etnomusicologo qual era parte dal repertorio della sua infanzia, lasciandosi ispirare da Galánta, un villaggio dell’Impero Austro-Ungarico in cui visse tra i tre e i dieci anni, allora abitato per lo più da ungheresi, ma anche da austriaci, slovacchi e gitani. Il materiale da cui attinge proviene quindi dalla musica folcloristica dell’antica tradizione magiara, nello stile della danza popolare verbunkos che gli era stata più familiare, oltre che da una raccolta di danze degli “zingari di Galánta” pubblicata a Vienna nel 1800: ne nasce una composizione tanto brillante quanto elaborata, «dai ritmi infuocati, dalle melodie trascinanti e dai colori sfavillanti» (Mauro Mariani), che se da una parte conserva il virtuosismo strumentale zigano, dall’altra sa comunque sapientemente utilizzare e valorizzare tutte le risorse offerte da una grande orchestra sinfonica.