Protonterapia di Trento ancora al palo per la mancata definizione delle tariffe dei Lea

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Il ministero alla Salute doveva emanarle entro il 28 febbraio scorso. L’impianto costato 130 milioni lavora ancora a basso regime, nonostante la possibilità di curare le persone

Il centro di Protonterapia di Trento è un centro di alta medicina caduto nel limbo per l’ignavia della politica nazionale, nonostante la stessa ministra alla salute, Beatrice Lorenzin, lo abbia “benedetto” nel corso di una visita qualche mese addietro alla presenza delle massime autorità locali: a quattro anni abbondanti dalla sua apertura, manca ancora la definizione delle tariffe “Lea”, passaggio indispensabile per consentire ai pazienti residenti fuori Trentino (e fuori dalle regioni che sono già convenzionate con la Provincia di Trento) per accedere alle cure senza dovere pagare privatamente i circa 25.000 euro del ciclo di cura.

Il centro di Protonterapia di Trento avrebbe dovuto decollare alla fine del 2013 dopo un investimento da parte della provincia di Trento di circa 110 milioni di euro per la costruzione del nuovo edificio nell’areale che dovrebbe ospitare il realizzando (ormai anche questo è un qualcosa che si attende da oltre 20 anni: intanto va avanti con continui adeguamenti e rappezzi il “vecchio” Santa Chiara) nuovo ospedale di Trento, il principale di tutta la Provincia. Una realtà che costa qualcosa come 36.111 euro al giorno (13 milioni all’anno) di sole spese di gestione. E sì che potrebbe dare cure efficienti ad un bacino di circa 700 pazienti (specialmente quelli dei tumori pediatrici) all’anno, mentre oggi ne cura a malapena poche decine (nel 2017 sono stati 168).

A tre giorni dalle elezioni, l’assessore provinciale alla sanità, il PD Luca Zeni, assicurava che entro il 28 febbraio scorso il ministero avrebbe “partorito” gli attesi nuovi Lea, anticipati nella legge di Stabilità approvata a fine anno dal Parlamento. Ma così non è stato e quella che dovrebbe essere un gioiello della sanità nazionale (non solo trentina) langue macinando solo pochi pazienti all’anno (dalla sua apertura ad oggi nel ha trattato 500, quasi tutti con pieno successo). La provincia di Trento si è mossa autonomamente per stipulare singole convenzioni con altre realtà (e il Veneto è stato tra i primi assieme a Marche), ma anche quelle annunciate lo scorso settembre  con Piemonte, Emilia Romagna e le province dell’Euregio Tirolese sono ancora in alto mare, tranne che per il Tirolo che ha già stipulato l’accordo.