Pirogassificatori: la Regione Veneto sconfitta dalla Corte Costituzionale

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Cassati i vincoli eccessivamente rigidi sulla localizzazione degli impianti. Ma nelle more della decisione, addio a 33 milioni d’investimento in Regione della svedese Cortus.

Ancora una volta, la demagogia in politica ha giocato un brutto tiro alla crescita dell’economia e al miglioramento della qualità dell’ambiente. Peccato che nelle more delle decisioni e dei ricorsi, le aziende abbandonino le iniziative proposte mandando in fumo investimenti per decine di milioni di euro e centinaia di posti di lavoro che avrebbero avuto un impatto positivo anche sull’ambiente sviluppando una filiera di produzione energetica sostenibile.

La Corte costituzionale ha detto picche alle richieste avanzate dai vari comitati “nimby” che sono sorti in Veneto contro gli impianti di pirogassificazione che, con un procedimento non inquinante, riescono a trasformare le biomasse, anche di scarto, da prodotto da smaltire in discarica in risorsa energetica.

Il tutto nasce dalla proposta avanzata dalla società svedese Cortus di realizzare in collaborazione con l’italiana Greenova due impianti di progassificazione in provincia di Treviso, a Paese e a Gaiarine. Impianti che avrebbero trasformato biomasse di scarto (i residui di potatura delle vigne di Prosecco e Raboso del territorio: di sarmenti, tralci, fogliame, pampini se ne producono ogni anno 75.000 tonnellate nel solo Trevigiano, chre crescono ad oltre 150.000 se si prendono in considerazione le confinanti province di Venezia e Pordenone) in energia, sostituendola all’impiego di derivati dal petrolio, dal gas metano al gasolio, questi sì inquinanti.

La pirogassificazione è un procedimento mediante il quale in atmosfera controllata e senza emissioni inquinanti nell’ambiente, dalle biomasse si produce un gas sintetico che poi può essere immesso nei metanodotti oppure utilizzato per azionare motori per produrre energia elettrica e calore per la climatizzazione domestica. Un procedimento sperimentato nel tempo e ampiamente utilizzato che nel Trevigiano ha però destato il sacro fuoco del terrore facendo sorgere un po’ dappertutto comitati “nimby” (not in my back jard, no nel mio cortile). Comitati che hanno avuto anche il sostengo di una certa politica prona a seguire un po’ troppo l’umore popolare, anche quando questo è del tutto ingiustificato.

Così, per impedire alla società italo svedese di realizzare i due pirogassificatori in progetto che avrebbero fatto risparmiare il consumo di 1,2 milioni di metri cubi di gas metano ogni anno, la politica regionale supportata dalla demagogia di alcuni abitanti della Marca trevisana secondo cui l’utilizzo dei tralci di vite al posto di combustibili fossili avrebbe portato malattie e la devastazione del territorio vocato per il turismo culturale e l’agricoltura di qualità, con corollario di infuocate assemblee civiche, affissioni di manifesti con fiamme apocalittiche e via dicendo, in Consiglio regionale ha approvato in fretta e furia nel Collegato alla Legge regionale di stabilità del 2016 un articoletto, il numero 111, votato con entusiasmo trasversare praticamente da tutti i consiglieri: gli impianti di questo tipo devono essere collocati ad almeno 300 metri da case singole e 500 metri da qualsiasi centro abitato. Limiti eccessivamente restrittivi per un Veneto che ha uno dei più alti indici di densità di popolazione per chilometro quadrato che ora sono stati cassati dalla ghigliottina costituzionale.

Peccato solo che nelle more della trafila giudiziaria il progetto sia finito nel nulla, con la Cortus che ha fatto fagotto ed abbandonato gli investimenti in Italia (oltre ai 33 per il Veneto ne avrebbe investiti altri 80 milioni di euro) e abbia lasciato intonso il consumo di gas metano e il problema dello smaltimento dei sarmenti, che continueranno ad essere bruciati all’aria aperta o seppelliti nelle campagne, con buona pace dell’inutile spreco di risorse energetiche rinnovabili.