Autostrade del NordEst riprende quota il progetto di un’unica holding posseduta dalle regioni

Dopo la chiusura degli anni scorsi, “apre” anche il Trentino Alto Adige che vede a rischio il rinnovo dell’A22. Interesse da parte di Veneto e Friuli Venezia Giulia. Emilia Romagna ancora in forse. 

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Autostrade del NordEst

Torna alla ribalta il tema di realizzare una holding per la gestione delle autostrade del NordEst. Se il progetto abbozzato qualche anno fa fosse andato in porto, probabilmente oggi la situazione delle infrastrutture del NordEst potrebbe essere decisamente migliore. Ma così non è stato, causa la miopia e la scarsa lungimiranza (e visione) da parte di alcuni politici, specie dalle parti del Trentino Alto Adige.

Oggi, a concessione A22 ancora in alto mare e decisamente in forse dinanzi alla possibilità che lo Stato azzeri tutte le concessioni in mano a soggetti terzi per riaccentrarle nelle mani dell’Anas, a Trento e Bolzano hanno cambiato idea e cercano il modo per evitare che la “loro” gallina dalle uova d’oro finisca nelle mani dello Stato. Di qui il rilancio sulla costituzione di un’unica holding autostradale pubblica posseduta dalle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, mentre l’Emilia Romagna è ancora alla finestra.

In questa nuova società dovrebbero confluire i tratti autostradali gestiti da Autovie Venete Spa (la A4 Mestre-Trieste, A57 tangenziale di Mestre, A23 Palmanova-Udine sud, A26 Portogruaro-Pordenone-Conegliano e A34 Villesse-Gorizia), posseduta dalle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, e l’Autostrada del Brennero Spa (A22 Campogalliano-Brennero posseduta a maggioranza dagli enti locali del Trentino Alto Adige, con partecipazioni minori degli enti locali del Veneto e dell’Emilia Romagna). Rimarrebbe fuori l’A4 Brescia-Padova, di proprietà di Abertis (ora conquistata da Atlantia – Autostrade per l’Italia – in condomino al 50% con Hochtief), con gli spagnoli che l’hanno acquistata a condizioni molto vantaggiose da banca Intesa Sanpaolo (di fatto, gli spagnoli la pagheranno dopo 10 anni con i proventi incassati dai pedaggi autostradali).

Nella nuova holding regionale dovrebbe avvenire il passaggio “in house” della titolarità dei tratti gestiti da Autobrennero e da Autovie Venete che dovrebbero essere prorogati per altri trent’anni. La proposta è stata rilanciata con forza dal governatore del Veneto, Luca Zaia, trovando orecchie attente nel suo collega (anche di partito, entrambi espressione della Lega) friulano Massimiliano Fedriga e anche tra gli amministratori del Trentino Alto Adige. Lo stesso presidente della provincia di Trento e vicepresidente della Regione Trentino Alto Adige, Ugo Rossi, conferma che la holding autostradale del NordEst è più di una semplice chiacchiera da bar: «nelle ultime settimane ci siamo sentiti spesso e gli interessi sono comuni, anche per attuare la logica del corridoio europeo».

Dello scenario Autostrade del NordEst è convinto Zaia: «abbiamo in mano pezzi importanti di autostrada e possiamo lavorare su questi. Il pubblico non deve entrare nella partita per fare business e massacrare gli utenti con le tariffe: il nostro deve essere un ruolo di garanzia per il territorio. Potremmo condividere le strategie e creare importanti economie di scala». Favorevole anche il presidente della Provincia di Bolzano (e della regione Trentino Alto Adige), Arno Kompatscher: «siamo sempre stati a favore di una gestione pubblica dell’autostrada perché il pubblico, a differenza del privato, mette la sicurezza davanti al profitto».

Belle parole, senza dubbio, anche se ci si deve confrontare con la realtà dei fatti. La gestione regionale delle strade ex Anas è stata difficoltosa, specie nel Veneto che ha avuto meno risorse economiche rispetto alle due regioni autonome, con il risultato che l’Anas è stato richiamato a riprendersi in carico gran parte della rete gestita da Veneto Strade. Bisogna vedere se nel creare un’unica holding autostradale ci saranno le competenze e le capacità di gestire correttamente le infrastrutture e di fare i necessari investimenti per l’ammodernamento e il potenziamento della rete odierna, affrontando anche gli investimenti che oggi non sono più procrastinabili.

Se il progetto di holding unica delle autostrade del NordEst fosse partita due-tre anni fa, la storia avrebbe potuto essere molto diversa da quella odierna, dove lo Stato sta seriamente pensando di cancellare le concessioni autostradali e riportare tutto nelle mani dell’Anas. Si sarebbe potuto acquisire da banca Intesa Sanpaolo l’autostrada Brescia-Padova evitando che cadesse in mano agli spagnoli (e ora tornata in mano italiana per il 50% dopo la scalata ad Abertis di Atlanita-Hochtief), generando un’ingente massa monetaria utilizzabile sia per ridurre gli odierni esosi pedaggi autostradali a favore della competitività del sistema economico del NordEst, oltre che per finanziare la manutenzione ordinaria, straordinaria e il potenziamento della rete stradale ordinaria, magari estendendosi all’infrastruttura ferroviaria (e dei relativi servizi di trasporto pubblico e merci). Ma così non è stato e oggi si gettano le basi per la nascita di una realtà forzatamente zoppa.

Ma se holding autostrade del NordEst dev’essere (sempre che il governo non si metta di traverso) a proprietà delle regioni del NordEst, da questo scenario non deve essere esclusa l’Emilia Romagna, dove l’Autobrennero è una realtà strategica, chiamata a realizzare la bretella Campogalliano-Sassuolo, la Cispadana e, forse, anche il Tibre. In questo scenario allargato, la holding del NordEst potrebbe essere una sorta di alter ego territoriale dell’Anas, una sorta di Anas del NordEst, cui delegare in un’ottica di vicinanza e di sussidiarietà tutte le funzioni (e i relativi finanziamenti destinati al territorio di competenza da parte dello Stato) svolte dall’amministrazione centrale, magari pure le tratte autostradali oggi in capo ad Autostrade per l’Italia nel caso in cui la revoca delle concessioni in essere andasse a buon fine. In questo scenario, ne potrebbe nascere una realtà logistica verticalizzata, magari allargabile anche ai centri intermodali e alla rete ferroviaria, con cui migliorare i servizi resi all’utenza abbassando i costi di servizio. Sarebbe uno scenario di larghissimo respiro, capace di combinare ingenti economie di scala e di generare enormi efficienze e sinergie. Il dubbio è se la classe politica, locale e nazionale, sia in grado di avere una sufficinente visione strategica e, soprattutto, capacità decisionale.