Quando di troppo fisco si può morire: il caso della Dea Flavor

L’azienda trentina è stata una delle prime ad investire nelle sigarette elettroniche producendo il liquido. Il raddoppio della tassazione rischia di portarla al fallimento e al licenziamento di oltre 40 operai. 

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dea flavor

Di troppo fisco, di troppe tasse si può morire e ciò non riguarda solo le persone fisiche ma anche le aziende, come nel caso della trentina Dea Flavor di Lavis, azienda nata nel 2012 agli albori della nascita del mercato delle sigarette elettroniche specializzata nella produzione delle ricariche.

L’azienda fondata da Daniele Campestrini e Andrea Giovannini ha investito nel settore della produzione delle fragranze utilizzate dai nuovi dispositivi, contenti nicotina. L’azienda registra un successo immediato, tanto da dare lavoro ad una quarantina di dipendenti e coinvolgere una rete di circa sessanta agenti attivi in Italia e all’estero. Dea Flavor sceglie di posizionarsi sulla fascia alta del mercato, offrendo prodotti di qualità certificata, frutto del lavoro di ricerca e di sperimentazione, coinvolgendo professionisti degli aromi alimentari e facendo una serie di test sugli effetti sui polmoni delle emissioni del vapore, in modo da garantire una sicurezza assoluta per i consumatori. Partendo da Lavis in Trentino, la Dea è diventata una delle aziende più importanti d’Italia, iniziando a vendere anche in tutta Europa proponendo ai consumatori un catalogo con oltre 60 diversi tipi di gusti.

Tutto bene fino al 2014, quando è arrivato lo zampino del fisco. Tra il 2014 e il 2015 il governo dell’epoca cambia le norme in vigore, appesantendo il peso del fisco sulle fragranze impiegate dalle sigarette elettroniche, che di fatto ne hanno raddoppiato il costo all’utente finale, passando da 5 a 10 euro la ricarica.

Le aziende del settore non hanno accettato supinamente la norma, proponendo vari ricorsi che hanno congelato l’imposta fino a gennaio 2018. «Nel 2016 avevamo un fatturato di sei milioni e mezzo – dicono Campestrini e Giovannini -, nel 2017 di 14 milioni e mezzo. Nel 2018 è tanto se riusciremo ad arrivare a cinque milioni». Non solo: ora c’è il serio rischio che la ditta trentina possa fallire sotto la mannaia del fisco, perché questo dopo avere vinto i vari ricorsi, ora passa all’incasso di quanto avrebbe dovuto incassare negli anni scorsi. E per una realtà come la Dea Flavor sono un scherzetto di 33 milioni di euro, pari all’imposta di consumo da versare all’Agenzia dei monopoli per gli ultimi tre anni di vendite, cosa che costringerà i titolari a chiudere baracca e a mettere in strada i 38 dipendenti ancora a libro paga.

C’è da dire che la colpa di tutto ciò non è solo del fisco, ma anche della giurisprudenza che prima dà ragione ai ricorrenti, salvo poi rimangiarsi il tutto in un sentenza successiva, alla faccia della certezza del diritto. La tassa grava per 39 centesimi per ogni millilitro di liquido, con o senza nicotina. In un primo momento la Corte costituzionale aveva riconosciuto che l’imposizione fosse applicabile solo sul contenuto liquido di nicotina, che è limitato rispetto all’intero prodotto. Nel 2017 è arrivata una nuova sentenza con cui la stessa Corte ha stabilito che è legittimo tassare l’intero liquido, non solo la nicotina che è presente al suo interno in bassissime percentuali. Un provvedimento cervellotico, che Giovannini esemplifica chiaramente con un paradosso: «se noi diluissimo una quantità minuscola di nicotina in una piscina, con le leggi attualmente in vigore in Italia saremmo costretti a pagare l’imposta di consumo sull’intera piscina e non solo sulla nicotina: è una normativa folle, che non ha eguali in tutto il mondo». Difficile dargli torto.

La Dea Flavor non è l’unica azienda del settore ad avere subito il contraccolpo fiscale, visto che fino a gennaio 2018 le aziende vendevano i loro prodotti applicando la tassazione solo sul contenuto di nicotina, non su tutto il prodotto acquistato dai consumatori. Ma ora, lo Stato vuole incassare quanto le imprese non hanno mai recuperato dai consumatori finali, ponendole in serissimi problemi di continuità aziendale.

Il Governo Conte ha promesso il suo interessamento per risolvere una questione, che rischia di essere un boomerang, visto che quanto dovrebbe guadagnare dall’imposizione su tutto il liquido rischia di perderlo per il mancato gettito di Iva sui prodotti, di tasse sulle buste paga dei lavoratori e di costi per la cassa integrazione e sostegno economico ai licenziati. Indispensabile intervenire al più presto, anche perché le aziende coinvolte hanno davanti a se solo altri due mesi di vita, oltre al fatto che l’utilizzo delle sigarette elettroniche ha un beneficio sulla salute dei tabagisti, essendo meno nocive per l’organismo della sigaretta tradizionale.