L’ottetto di Mary Halvorson all’Auditorium Santa Margherita per la rassegna Musicafoscari

La chitarrista e compositrice americana ha presentato i brani contenuti nel suo unico Cd.  Di Giovanni Greto

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Mary Halvorson

Il secondo concerto organizzato dall’Ateneo veneziano nell’ambito della rassegna Musicafoscari ha visto esibirsi all’Auditorium S. Margherita l’ottetto della chitarrista e compositrice americana Mary Halvorson. Ha destato interesse il suo lungo unico set – quasi 90 minuti rispetto agli ormai consueti 70-75, almeno per quanto riguarda il Jazz -, anche se alcuni giovani studenti, pur trovando la sua musica interessante, avrebbero preferito che il programma musicale durasse un po’ di meno.

L’ottetto diMary Halvorson, con Tomas Fujiwara alla batteria, anziché Ches Smith e Dave Ballou alla tromba al posto di Jonathan Finlays, è parso ben affiatato, coeso, attento alle semplici, essenziali indicazioni della leader, che si è ritagliata convincenti episodi in solitudine, magari a mo’ di introduzione al brano.

La scaletta si è sviluppata in sette brani, cinque dei quali appartenenti all’unico CD inciso dall’ottetto, “Away with you”(2016). Sembra importante a caratterizzare l’atmosfera musicale, la presenza di Susan Alcorn alla “pedal steel guitar”, posizionata orizzontalmente come fosse una tastiera, le corde premute con dei cilindri metallici. Il suo lavoro permette un meditato inserimento di idee da parte della leader, che, sono parole sue, predilige un tono pulito, in modo tale da ottenere un suono che si avvicini il più possibile all’acustico. Dunque, una chitarra elettrica non invadente, costruita per lei da un artigiano e tanti fiati – tromba, trombone (Jacob Garchik), sax alto (Jon Irabagon), sax tenore (Ingrid Laubrock) -, ognuno dei quali si prende uno spazio considerevole per gli assolo, oppure tre di essi accennano ad un riff per lanciare il solista di turno. Un po’ Big Band, quando suonano energicamente a forte volume tutti assieme, un po’ New Orleans, episodi free, sempre ben controllati.

Quanto alla sezione ritmica, il contrabbassista John Hebert dimostra di essere un musicista attento e sempre presente, offrendo una base confortevole, di sicuro appoggio per gli altri. Inizia lui “Old King Misfit”, rivelando la propria abilità solistica, che non ha avuto molto spazio all’interno delle composizioni, e una dimestichezza anche con l’archetto. Molto presente e percossa  con colpi decisi, la batteria di Fujiwara (americano di padre giapponese e mamma francese), capace di lanciare e commentare i solo dei colleghi.

Due soltanto le scritture di Mary Halvorson, una docile ballad, “Backdoor Rainbow” e “Fortune Teller”, la prima di due composizioni nuove presentate nel finale, la seconda, “Rolling Heads”, come bis. Per quest’ultima anche lei utilizza un cilindro per un inizio con loops davvero grazioso. Fujiwara, alla fine, si esibisce in un lungo, meditato e applaudito assolo.

Insomma, di tutto e di più, con una malinconia di fondo, caratteristica, forse, di una composta leader, che non ha ancora suonato molto in giro con questa formazione, con la quale vorrebbe essere invitata in più continenti, al di fuori degli States e dell’Europa.

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