Riforma crisi d’impresa, nuova mazzata sulle PMI

Treviso la seconda provincia veneta più penalizzata con oltre 630 srl artigiane che dovranno sborsare più di 3.650.000 euro per adeguarsi.  Di Vendemiano Sartor, presidente Confartigianato Imprese Marca Trevigiana

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riforma crisi d'impresa

Se il Veneto con le sue oltre 3.100 imprese artigiane è la seconda regione più penalizzata d’Italia, dopo Lombardia con 16,3% delle aziende coinvolte, le 636 srl artigiane trevigiane sono le seconde su scala regionale, dopo quelle vicentine, a dover sopportate dei costi terribilmente significativi per dare seguito a tutte le novità relative alla riforma crisi d’impresa, ovvero 3.666.879 euro. Essendo una variazione imposta sarebbe legittimo che la stessa fosse a costo zero per le imprese.

Il positivo intento del legislatore che muoveva dalla volontà di far emergere, prima che sia troppo tardi, una situazione di crisidell’impresa, evitando così che la stessa arrivi all’insolvenza cronica a danno delle imprese fornitrici, alla rimarcata responsabilità che impone agli amministratori, sempre a tutela degli interessi dei terzi si è tradotto anche in questo caso in un aggravio di adempimenti e  costi per le imprese.

L’approvazione del decreto legislativo che recepisce il contenuto della legge delega 155/2017, contenente l’intera riforma delle procedure fallimentari, avvenuta il 10 gennaio scorso in Consiglio dei Ministri – in attesa solo della pubblicazione in Gazzetta – introduce, tra le tante novità, delle modifiche al Codice civile che penalizzeranno migliaia di aziende artigiane a responsabilità limitata già a partire da quest’anno. Sono infatti oltre 3.100 le srl artigiane Venete, che saranno obbligate a dotarsi di un collegio sindacale o del revisore e di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato a rilevare tempestivamente la crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale con un aumento di costi che stimiamo complessivamente attorno ai 18 milioni di euro l’anno, di cui oltre 3.660.000 sborsati dalla Marca.

A nulla sono valse le nostre puntuali e precise richieste di delimitare con certezza l’ambito applicativo della riforma crisi d’impresa e di escludere “i piccoli” dai nuovi obblighi che penalizzano proprio quelle imprese che nella Marca sono in straordinaria crescita: +1.400% in meno di 20 anni. Come non sono state ascoltate le nostre richieste di un periodo di transizione di 5 anni come avviene nel resto d’Europa in barba ai principi dello Small Business Act e contro tutti i participi di semplificazione tanto sbandierati da questo Governo.

La riforma crisi d’impresa introduce delle modifiche al Codice civile che già a partire da quest’anno (dopo 30 gg dalla pubblicazione) obbligheranno molte piccole imprese a dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato a rilevare tempestivamente la crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale. Il primo sospetto è che l’applicazione pratica di questo (ancora un po’ fumoso) diktat significhi, anche per le società di persone, sostenere nuovi costi di gestione.

Altro aspetto delicato e dagli esiti dirompenti riguarda i nuovi limiti che, superati i quali, imporranno alle srl di nominare un organo di controllo. Se per due anni consecutivi (per quest’anno i bilanci 2017 e 2018) si supererà anche solo uno dei nuovi paletti previsti dall’art. 2477 del codice civile, la società dovrà dotarsi del collegio sindacale o del revisore.

In particolare, le soglie previste sono: 2 milioni di attivo patrimoniale, 2 milioni di euro di ricavi delle vendite e delle prestazioni, 10 dipendenti occupati in media durante l’esercizio. In caso di superamento, si deve procedere alla nomina entro 9 mesi dalla data di pubblicazione del decreto. Pertanto, per le srl, i giochi sono fatti e l’ampiezza della platea interessata dipenderà soprattutto dall’esiguo numero di dipendenti previsto. Ciò provocherà un aumento dei costi per le aziende anche di 4-5mila euro l’anno.

Pur condividendo la volontà di incentivare una gestione più oculata delle imprese, è innegabile che ciò provocherà un aumento di costi per le aziende anche di 4-5.000 euro all’anno. Ci siamo opposti con forza all’abbassamento così drastico dei limiti dimensionali e abbiamo tentato, con proposte di emendamento al decreto, di evitare che il calcolo del superamento si basasse su bilanci i cui esercizi sono ormai chiusi. Questo senza contare che i revisori, soggetti pienamente indipendenti dalla società, avranno nuovi e precisi obblighi di monitoraggio infrannuale dell’attività e di segnalazione, anche ad organismi esterni tenuti presso le Camere di commercio, di eventuali situazioni degne di allerta. Andandone della loro diretta responsabilità, ci si può giustamente attendere un’attività attenta e scrupolosa.

Non bastasse, il decreto impone che le Srl adeguino i propri statuti e atti costitutivi al contenuto dei nuovi articoli del Codice civileriguardanti la nomina dell’organo di controllo. E’ d’obbligo, quindi, fare una preventiva verifica sul contenuto dei propri regolamenti societari e, se necessario, procedere alla loro modifica. Anche questo nel 2019, ossia entro 9 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto. Pur non essendo previste sanzioni in caso di mancato adeguamento, il restyling imposto potrà comportare ancora spese a carico delle società per i dovuti adempimenti pubblicitari, stimabili anche in 1.000-1.500 euro.

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