1 febbraio: al via l’accordo sul libero scambio UE-Giappone

Vacondio (Federalimentare): «l'accordo Jefta non è solo positivo, è necessario». Mattioli (Confindustria): «l’accordo apre nuove opportunità per le imprese italiane». 

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libero scambio Ue-Giappone

Con il 1 febbraio è entrato in vigore l’accordo di libero scambio UEGiappone, Jefta (Japan-Eu Free Trade Agreement), salutato con soddisfazione da Federalimentare e da Confindustria.

«Federalimentare – ha dichiarato il presidente Ivano Vacondio – non può che accogliere favorevolmente l’accordo di libero scambio tra UE e Giappone che porterà grandi risultati in termini di export e di opportunità a tutta l’industria alimentare italiana».

L’accordo di libero scambio UEGiappone arriva in un momento in cui l’export dei prodotti alimentari in Giappone attraversa una fase di stazionarietà rispetto allo stesso periodo 2017, quando ha raggiunto i 715,1 milioni di euro, con un +2,1% sull’anno precedente. Una fase riflessiva, quella del 2018, dovuta alla maturità del mercato, alla lunga fase di deflazione attraversata dal paese del Sol Levante ma anche alle imposizioni daziarieche hanno colpito finora, in varia misura, tutti i segmenti alimentari, con oscillazioni fra il 10 e il 30% circa.

«L’accordo commerciale con il Giappone, un paese che oggi è al decimo posto dei nostri sbocchi alimentari, è molto qualificante perché creerà una zona di libero scambio che interesserà 635 milioni di persone e circa un terzo del PIL complessivo a livello mondiale – precisa Vacondio -. Nello specifico, l’accordo prevede l’eliminazione dei dazi su molti formaggi (attualmente tassati quasi al 30%), sulle esportazioni di vini (dazio del 15% in media), consentendo alla UE di aumentare considerevolmente le sue esportazioni di carni bovine e di offrire ulteriori possibilità di esportazione per i prodotti a base di carni suine. Infine, l’accordo garantirà la protezione in Giappone di oltre 200 indicazioni geografiche protette, di specialità culinarie tradizionali europee di alta qualità e la protezione nella UE di una serie di indicazioni geografiche giapponesi».

Secondo Federalimentare, «la rimozione di larga parte dei dazi che pesano sui prodotti italiani e la maggiore apertura del mercato giapponese sono il migliore presupposto per evitare possibili ripiegamenti di questo sbocco e per confermare nel tempo le brillanti performance messe a segno fin qui da un mercato di grande prestigio, selettivo e molto attento alla qualità».

L’accordo di libero scambio UE-Giappone è giudicato positivamente anche da Licia Mattioli, vice presidente per l’internazionalizzazione di Confindustria: «l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio Ue-Giappone apre nuove opportunità per le imprese. L’export industriale ha trainato la ripresa del Paese fino a quando ve ne sono state le condizioni, con tassi di crescita formidabili come il 7,4% registrato nel 2017, ma dallo scorso anno il rallentamento economico globale e le tensioni protezionistiche stanno depotenziando questa leva. Il dato positivo è che grazie alla Ue la liberalizzazione dei mercati internazionali avanza nonostante il protezionismo. Le intese raggiunte da Bruxelles interessano mercati fondamentali per l’industria italiana. Dopo quello con il Canada – continua Mattioli -, l’accordo con il Giappone è il secondo con un partner G7, quindi con economie dai fondamentali solidi e strutture industriali altamente complementari alla nostra. Il Giappone apre il proprio mercato in settori tradizionalmente protetti come quello degli appalti pubblici eliminando moltissime barriere tecniche in settori strategici per il nostro Paese come la meccanica e la componentistica auto. Abbatte inoltre i dazi sui beni di consumo, incluso l’alimentare e tutela tutte le principali indicazioni geografiche. Ma per quanto le nostre imprese sappiano cogliere appieno le opportunità a livello internazionale, l’Italia non può vivere solo di export. Bisogna restituire fiducia agli investitori – conclude Mattioli – e riavviare il volanodella crescita domestica anzitutto sbloccando i progetti infrastrutturali. Il fatto che siamo ufficialmente in recessione deve spingerci a reagire subito e con determinazione».

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