Dazi, l’export Usa di Francia e UK colpito per 1 miliardo di dollari

Per l’Italia l’importo ammonta a circa 480 milioni di dollari. In America la produzione di Parmesan ha superato della italiana. 

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filiera agroalimentare

A poche ore dalla decisione americana di imporre dazi per un controvalore di 7,5 miliardi di dollari all’importazione su prodotti europei a seguito della decisione della Wto relativamente agli aiuti di stato concessi dall’Europa al consorzio Airbus, Nomisma ha fatto i primi conti preliminari sulla ricaduta che i maggiori oneri doganali avranno sulle esportazioni italiane ed europee.

Mentre l’Italia viene colpita soprattutto sui formaggi (50% dell’import italiano negli Usa soggetto a nuovi dazi), la Franciapaga pegno sui vini fermi, il Regno Unito sul whisky e la Spagna sull’olio d’oliva. A livello europeo, Francia e Regno Unito presentano i valori assoluti di import agroalimentare più elevati soggetti a dazi (oltre un miliardo di dollari).

Nomisma Agroalimentare ha individuato per i principali paesi Ue i settori che potrebbero essere maggiormente colpiti da questa nuova imposizione tariffaria. «Su un totale di import agroalimentare negli Usa di origine italiana che nel 2018 è stato di 5,48 miliardi di dollari, l’ammontare che viene interessato dai nuovi dazi è di circa 482 milioni di dollari, vale a dire il 9% – sottolinea Denis Pantini, direttore dell’Area Agroalimentare di Nomisma -. Se questo può sembrare una buona notizia, il brutto è che la gran parte di tale montante (quasi il 50%) riguarda i formaggi – in particolare Dop, come Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Pecorino Romano. Vino, olio d’oliva e pasta non sono stati inseriti nella lista nera dei prodotti sottoposti a dazio, mentre il secondo prodotto più colpito sono i liquori, per i quali il dazio del 25% andrebbe ad interessare un valore di quasi 167 milioni di dollari».

«I dazi Usa sui nostri formaggi Dop potrebbero avere impatti molto significativi su tutta la filiera lattiero-casearia collegata – evidenzia Pantini– alla luce dei forti legami che queste produzioni certificate hanno con il sistema degli allevamenti, sia a livello nazionale che territoriale: basti pensare al Pecorino Romano, prodotto per oltre il 90% in Sardegna che sostanzialmente dipende dal mercato degli Stati Uniti dove esporta oltre il 60% della propria produzione o al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano che valorizzano il 40% di tutto il latte vaccino prodotto in Italia».

Nomisma allarga l’analisi agli altri paesi europei: «nel caso della Francia, il dazio andrebbe a colpire principalmente il settoredei vini fermi su un valore di 1,3 miliardi di dollari (vale a dire il 20% dell’import agroalimentare di origine francese). In questo caso, Trump ha risparmiato sia lo Champagne che i formaggi transalpini, mentre ha “bastonato”, al di fuori dell’agroalimentare, le esportazioni dei grandi aerei commerciali (10% di dazio su 3,5 miliardi di dollari di import), “casus belli” della disputa in corso tra le due sponde dell’Atlantico».

Per la Spagna, invece, «il valore dei propri prodotti inseriti nella lista incide per ben il 35% sul totale delle importazioni agroalimentari spagnole negli USA, con olio d’oliva e vino più penalizzati».

In merito al Regno Unito, secondo lo studio di Nomisma, «la quasi totalità dei propri prodotti esportati negli Usa soggetti a nuovi dazi attiene agli spirits e, in particolare al whisky anche se nella lista viene specificato che l’import di questo prodotto sarà “tassato” solo in quota parte e non su tutto l’ammontare. Va comunque segnalato che, nel 2018, l’import americano di Scotch Whisky è stato di ben 1,6 miliardi di dollari che, unito agli altri prodotti di origine britannica inseriti nella lista, conducono ad una potenziale incidenza delle esportazioni soggette a nuovi dazi di oltre il 60% sul totale degli scambi agroalimentari».

Infine la Germania: per questo paese «il valore dell’import soggetto a dazio è il più basso dei cinque top exporter considerati, vale a dire 424 milioni di dollari, il 19% del totale degli scambi agroalimentari verso gli Usa. Anche in questo caso, gli spiritsrappresentano i prodotti più colpiti».

Intanto, secondo Coldiretti emerge il fatto di come la produzione di falsi Parmigiano Reggiano e Grana Padano, a partire dal Parmesan, abbia superato nel mondo quella degli originali con il diffondersi di tarocchi in tutti i continenti che toglie spazi di mercato ai simboli della gastronomia italiana.

Coldiretti denuncia come la statunitense National Milk Producers Federation abbia chiesto di poter vendere le imitazioni dei formaggi italiani anche nell’Unione Europea. «Gli Stati Uniti sono grandi produttori delle imitazioni dei formaggi di tipo italiano dal Wisconsin allo stato di New York fino in California, ma il Parmigiano, assieme al Grana, è il prodotto agroalimentare più imitato nel mondo – sottolinea Coldiretti – che diventa Parmesan dagli Stati Uniti all’Australia, dal Sudafrica fino alla Russia, Parmesano in Uruguay, Reggianito in Argentina o Parmesao in Brasile o altro anche più fantasioso, come il Grana Pampeana senza dimenticare i formaggi similari che si moltiplicano anche in Europa».

Per Coldiretti, a differenza delle produzioni nazionali Dop, le imitazioni non rispettano i rigidi disciplinari di produzione dell’Unione Europea che definiscono tra l’altro, le aree di produzione, il tipo di alimentazione e modalità di trasformazione. «La richiesta dei produttori statunitensi va dunque respinta al mittente ma – conclude la Coldiretti – vanno anche rafforzati i meccanismi di tutela delle produzioni agricole italiane ed europee negli accordi di libero scambio».

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