“Nessun giusto per Eva”: la triste sorte degli ebrei padovani

0
880
Il libro di Francesco Selmin fa luce su un punto oscuro della Repubblica di Salò: il campo di concentramento di Vo’ Vecchio, dove gli ebrei vennero radunati per essere deportati ad Auschwitz
di Alessandro Macciò

In pochi sanno che, durante le battute finali della Seconda guerra mondiale, i Colli Euganei hanno ospitato un campo di concentramento per ebrei. Dal 3 dicembre del ’43 al 17 luglio del ’44 del secolo scorso, ben settantuno persone (fra cui donne e bambini) furono costrette ad alloggiare sotto il controllo di carabinieri e agenti di pubblica sicurezza presso villa Contarini Venier, una residenza seicentesca che sorge nella frazione di Vo’ Vecchio, scelta appositamente dalle autorità della neonata Repubblica Sociale Italiana. Dopo la detenzione, 47 “giudei” furono deportati al campo di sterminio di Auschwitz, e pochissimi di loro poterono fare ritorno. Quella di Vo’ Vecchio è solo la vicenda più eclatante dell’antisemitismo padovano: molti ebrei (specie coloro che tentarono di raggiungere la Svizzera, e vennero arrestati prima di raggiungere la frontiera) conobbero l’internamento presso i campi di concentramento di Dachau, di Fossoli di Carpi, nel modenese, e della Risiera di San Sabba, nel triestino, l’unico in Italia dotato di forno crematorio.
La ricostruzione di questi fatti è ora affidata al libro di Francesco Selmin Nessun giusto per Eva. La Shoah a Padova e nel Padovano (Cierre edizioni). La ricerca di Selmin prende le mosse da diversi documenti: i giornali dell’epoca, come il quotidiano “Il Veneto” e il periodico “Rivoluzione”, che conducono una violenta propaganda antisemita e testimoniano il ritorno del fascismo più radicale; gli atti ufficiali delle istituzioni, come la famigerata ordinanza di polizia n. 5 che sancisce l’istituzione dei campi di concentramento, o le successive disposizioni che, a fasi alterne, negano e concedono la libertà a determinate persone; i diari delle vittime e le interviste dei pochi superstiti, che rivelano il loro stato d’animo di profonda angoscia; la dettagliata relazione del parroco di Vo’ Vecchio, don Giuseppe Rasia, che descrive i suoi rapporti con gli internati e le loro condizioni di vita.
Nel complesso, Nessun giusto per Eva delinea una storia controversa, figlia di decisioni arbitrarie, del lassismo delle istituzioni, della sudditanza italiana nei confronti dei tedeschi. In questa storia convivono (poche) parentesi felici, come il battesimo di Anna Zevi, che si converte al cristianesimo e può così abbandonare il campo di concentramento di Vo’ Vecchio, ed episodi estremamente torbidi, come la delazione dell’ebreo triestino Mauro Grini, che, in cambio di una ricompensa in denaro, segnala alle autorità la presenza di quattro suoi correligionari fra le persone ricoverate all’ospedale di Padova. Soprattutto, il libro di Selmin sottolinea il clima di indifferenza che ha accompagnato l’intera vicenda, la condizione di progressivo isolamento delle vittime. Anche durante il loro soggiorno a Vo’ Vecchio, gli ebrei hanno ricevuto al massimo qualche segno di comprensione, ma mai un aiuto concreto: è questa l’amara conclusione a cui perviene Selmin, riflettendo sull’atteggiamento della società civile padovana e, più in generale, italiana.
Per lo scrittore Ferdinando Camon “questo è un libro che ci chiama in causa, perché parla di una porzione non piccola dell’Olocausto. Il comportamento di italiani e tedeschi è stato molto diverso: noi non sapevamo perché gli ebrei dovessero andare nei campi di concentramento, loro sì, gli imputavano la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale, e volevano vendetta. Gli italiani, più semplicemente, cercavano una sorta di terza via fra tedeschi ed ebrei, per non inimicarsi nessuno dei due. Anche oggi, le violenze di alcuni gruppi di estrema destra non incontrano grandi resistenze da parte della popolazione: occorre ridurre l’indifferenza, altrimenti siamo complici senza volerlo e senza averne coscienza. Per questo, ritengo che il libro di Selmin non sia solo un’opera storica, ma anche una chiave attuale per capire il comportamento dei veneti di oggi”.