“Ineffabile perfezione. La fotografia del Giappone 1860-1910”.

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Mostra Ineffabile perfezione la fotografia del giappone 2012 12 Raimund von Stillfried-Ratenitz. Lottatori di Sumo ed arbitro. 1872 1

Mostra Ineffabile perfezione la fotografia del giappone 2012 12 Raimund von Stillfried-Ratenitz. Lottatori di Sumo ed arbitro. 1872 1Mostra all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, a Palazzo Franchetti di Venezia
di Giovanni Greto

La mostra allestita a palazzo Franchetti, proveniente dal museo delle Culture di Lugano, curata dal direttore Francesco Paolo Campione e da Marco Fagioli, ha il pregio di far conoscere, anche se attraverso un occhio occidentale, un Giappone lontano nel tempo, ma che nonostante la modernizzazione attuale, è riuscito a preservare con cura, in qualche maniera, le proprie tradizioni. Si può dire che la fotografia abbia ereditato il testimone artistico lasciato dalle incantevoli xilografie policrome degli Ukiyo-e (fine 1600-1800), le immagini del mondo fluttuante (ukiyo), un termine di origine buddista che indica il fatale scomparire di tutto quello che c’è di non permanente e più desiderabile, come possono essere l’apparizione della bellezza nei volti, il tramonto dei potenti, il trascorrere della giovinezza. Agli artisti, come Utamaro, Hiroshige, Hokusai, solo per citare i più famosi, spettava il compito di catturare l’istante.

Mostra Ineffabile perfezione la fotografia del giappone 2012 01 Kusakabe Kimbei, Donna che si lava i capelli, 1880 ca. 1La fotografia nasce in Giappone prima che il Paese si apra in modo massiccio al commercio estero e alla presenza degli occidentali tra il 1853 e il 1859, ma è con la comparsa, nel 1863, dello stile autonomo e fortemente caratterizzato della scuola di Yokohama, che essa intraprenderà un rapido sviluppo. E fu proprio un italiano, anche se con passaporto britannico, il greco-veneziano Felice Beato (1833-1907) a sostenere il decollo di questa nuova forma artistica d’avanguardia. Avvalendosi di un gran numero di artisti giapponesi che si erano dedicati in passato alla pittura, alle stampe xilografiche policrome e alla coloritura dei tessuti, Beato usò una tecnica di stampa all’albumina, la quale utilizzava una proteina del plasma prodotta dal fegato, che si trova nella chiara delle uova, l’albume, il quale veniva montato a neve con l’aggiunta di cloruro di sodio o di ammonio, il sale da cucina. Il risultato, poi minuziosamente colorato a mano, lo si può ammirare nelle 134 opere e le 20 carte da visita presenti in mostra, che fanno parte di una collezione privata di 7.500 esemplari, appartenenti ad un appassionato cultore d’arte europeo. La necessaria selezione è il risultato di un lavoro triennale dell’equipe del museo delle Culture, in collaborazione con Marco Fagioli, che ha studiato le opere una per una, annotandone lo stato di conservazione e cercando di attribuirne, dove possibile, l’originale paternità. Un compito, questo, assai arduo, che dà spesso risultati incerti, sia perché fra gli atelier fotografici del tempo vigeva l’uso di scambiarsi le lastre, sia perché era abbastanza frequente che un fotografo, al momento di ritirarsi, vendesse i suoi archivi ad uno o più colleghi che li facevano propri in tutto e per tutto.

Le foto sono state suddivise in sei sezioni. Colpisce quella dell’“universo femminile”, in cui emerge un’immagine ideale della donna, lontana dalla condizione reale del tempo. I temi principali sono quello della bellezza sublime, che fa capolino nei ritratti di donne in apparenza senza età; quello del ruolo e del lavoro della donna nella vita di tutti i giorni: i mestieri, le attività della casa, della bottega, dei campi; quello, fortemente legato alla tradizione dei ritratti di cortigiane dell’Ukiyo-e, e con molte concessioni al gusto europeo, degli edifici delle “città senza notte” e delle donne senza veli che vi dimorano. Tuttavia, ad uno sguardo attento alle foto, ci sembra di scorgere spesso un senso di tristezza e malinconia nei volti, oppure una certa fissità se non, addirittura, paura.

Forse, sottomesse agli ordini del fotografo straniero che le metteva in posa, – si pensi a “tre donne al bagno” (circa 1880) del barone boemo Raimund von Stillfried-Ratenicz (1837-1916) – si saranno sentite a disagio a posare seminude per appagare i desideri, presumibilmente lascivi e pruriginosi, di un pubblico occidentale a cui le foto erano destinate.

Nella sezione, la natura domata, balzano immediatamente agli occhi le fotografie in primissimo piano, o in macrofotografia, di Ogawa Kazumasa (1860-1929), che ritraggono fiori o rami di albero in fiore. Dai fiori di susino e di giglio, ai crisantemi, all’iris , alle camelie si può ammirare il ramo di un ciliegio in fiore, un albero la cui piena fluorescenza è seguita in una sorta di rituale quotidiano che si ripete stagione dopo stagione da parte della quasi totalità del popolo giapponese.