A Verona le province di Veneto, Lombardia e Piemonte unite contro i tagli del Governo

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Verona assemblea UPI tavolo coordinatori 1Dal vertice opposizione convinta alla riduzione del numero e delle funzioni dell’ente

Dal vertice che ha riunito a Verona i rappresentanti delle province di Veneto, Lombardia e Piemonte si leva un coro unanime contro la riforma del Governo che avvia la cura dimagrante per questi enti intermedi. C’è chi parla di “dilettanti allo sbaraglio, altro che Governo dei professori”, chi lancia strali contro i “semplici burocrati che non conoscono il territorio”. E chi, invece, firma un documento unitario con proposte alternative a quelle dell’esecutivo. A sottoporlo ai rappresentanti degli enti locali i presidenti delle Unioni delle Province del Veneto, della Lombardia e del Piemonte.

“Sia chiaro – ha detto il piemontese Massimo Nobili – la nostra non è una battaglia per salvare le province, anzi. Siamo consapevoli che una riforma sia necessaria. Ma quella proposta dal Governo è inaccettabile e a rimetterci non siamo noi, sono i cittadini sotto forma di servizi che non potremmo più erogare”. Più duro il presidente delle province del Veneto, Leonardo Muraro: “dDobbiamo pensare ad azioni border line per tutelarci di fronte ad uno Stato del genere. Stiamo pensando di non rispettare più i limiti imposti dal Patto di Stabilità, ma anche ad altre azioni di protesta di grande impatto come, ad esempio, potremmo sfrattare quegli amministrazioni statali, come le Prefetture, che non pagano l’affitto alle Province”. Infine Massimo Sertori, per la Lombardia, ha sottolineato che il decreto del Governo “crea solo tanta confusione oltre ad essere iniquo. Mi chiedo quali saranno le deleghe che rimarranno alle province che si salvano dal taglio. Senza dimenticare i servizi: le scuole, i trasporti, la raccolta dei rifiuti. Tutto è a rischio. Questa non è una riforma delle province, è un attacco ai cittadini, saranno loro le vittime di un simile decreto”.

Per il presidente della prima commissione in Consiglio regionale del Veneto, Costantino Toniolo, la decisione del Governo di ridurre le province rappresenta un rischio di deriva incostituzionale. “Il Governo – rileva Toniolo – ha definito dei criteri generali per le nuove province, ma lasci ai Veneti e quindi ai comuni e all’assemblea legislativa regionale, decidere come ridisegnarle e come ridistribuire tra gli enti veneti, province e comuni, le competenze che la Costituzione ci assegna”. Per Toniolo, con il decreto di revisione della spesa “dietro alla foglia di fico della crisi, il Governo sta operando contro il federalismo e riaccentrando a Roma tutta una serie di competenze che erano già state distribuite alle regioni: siamo lontani anni luce dal Titolo Quinto della Costituzione, dalle leggi Bassanini, un vero e proprio colpo di spugna a tutte le normative vigenti sulle autonomie locali e sul federalismo”.

Sotto diverse bandiere politiche, i rappresentanti delle province di alcune delle maggiori regioni del Nord si ritrovano tutti uniti nel contrastare le disposizioni del Governo per l’accorpamento di questi Enti intermedi. Da Verona, i vertici dell’Upi di Veneto, Lombardia e Piemonte hanno elaborato un documento unitario e una strategia di protesta nei confronti del Governo Monti. Il documento giovedì sarà sottoposto all’attenzione dell’Upi, Unione province italiane, e successivamente presentato al Governo e ai singoli parlamentari. Toni minacciosi quelli usati durante l’assemblea. “E’ stata presa una decisione assurda, soprattutto senza consultare il territorio – afferma il presidente della provincia di Venezia Francesca Zaccariotto – cosa cambia per noi? Per ora poco, solo il nome del palazzo. Ma il territorio va ascoltato, così non si fa. Senza considerare tutte le deleghe che ora abbiamo e che dovrebbero passare a Venezia città metropolitana. Una confusione terribile a scapito dei cittadini”. Per la presidente della provincia di Padova Barbara Degani “siamo stufi di pagare per colpe degli altri, questi sono stravolgimenti presi sulla testa del popolo veneto. Bisogna valutare l’efficacia e l’efficienza degli enti, non andare avanti con la politica assurda dei tagli lineari. Spettava al Veneto decidere quali, eventualmente, sarebbero state le province da tagliare. La regione ha un ruolo importante, se ne dovrebbe fare carico. Per quanto riguarda quelle amministrazioni statali alloggiate in strutture di nostra proprietà, noi a Padova perderemo qualcosa come più di due milioni di euro all’anno. Senza dimenticare, tuttavia, che il Ministero degli Interni è dal 2009 che non ci paga”. Secca anche la posizione del presidente della provincia di Lodi, Pietro Foroni: “il risparmio per lo Stato da questa riforma è zero, non ci sono vantaggi, si tagliano solo servizi ai cittadini. Personalmente sono molto critico anche con la posizione di Upi nazionale. Si sono difese solo le grandi realtà e si sono dimenticate le piccole province, quelle che, conti alla mano, solo le più virtuose. Sto pensando, come provincia di Lodi, di uscire dall’Upi nazionale che a questo punto non mi rappresenta più”. Il presidente della Provincia di Monza, Dario Allevi, se la cava con una battuta: “sono il primo e anche ultimo presidente della provincia di Monza”, ma poi attacca Monti sottolineando come “la scorsa estate abbiamo commissionato alla Bocconi uno studio dal quale si metteva in evidenza che il taglio della province non comportava nessun guadagno in termini di spesa pubblica allo Stato. Quello studio lo abbiamo rimandato recentemente a Monti, ma evidentemente il presidente non ascolta nemmeno l’Università di cui è stato rettore”. Anche il presidente della provincia di Milano, Guido Podestà, rimarca il fatto che questo provvedimento “penalizza fortemente i cittadini che non avranno più gli attuali servizi. Il Patto di Stabilità? Se fosse un’azione di tutti ci potrei pensare, ma ci sono altre opportunità di protesta da considerare”.

Le province italiane (tra l’altro, sono l’unico ente intermedio assieme ai comuni ad essere riconosciuto dalla Costituzione, in quanto le regioni ordinarie sono nate vent’anni dopo, nel 1970) intendono vendere cara la loro pelle. Della loro utilità non si discute, semmai si può criticare il fatto che negli ultimi anni c’è stata la corsa alla creazione di nuove province che non servono a nulla se non a moltiplicare costi, poltrone e burocrazia. E se fosse da capovolgere l’assetto, abrogando le regioni che di fatto sono spesso una brutta copia dello Stato, delegano le loro funzioni direttamente alle province (ridotte di numero) nell’ottica di coordinamento dei comuni? Forse, potrebbe essere la quadratura del cerchio tra necessità di riduzione della spesa pubblica, semplificazione dei livelli di governo e avvicinamento del potere ai cittadini nell’ottica del vero federalismo.