Il chitarrista jazz Marc Ribot in concerto al centro Candiani

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marc ribot jazz 1Recital in trio con “Ceramic Dog”
di Giovanni Greto

Sia per chi non lo conosce, sia per chi lo abbia già visto, merita un ascolto non superficiale il chitarrista e compositore americano, nato a Newark, nel New Jersey, Marc Ribot, classe 1954. In un panorama musicale troppo spesso piatto, accanto ad una serie di interpreti che durano il tempo di un disco, promossi in maniera massiccia dalle case discografiche, che spesso puntano più sull’aspetto estetico, cercando di renderlo trasgressivo, una parola che giorno dopo giorno si allontana dai confini, al punto che quasi niente ormai è in grado di stupire, Ribot ha il coraggio di osare.

Può essere un bravo chitarrista jazz, mainstream magari. E lo vediamo in duo con un monumento del piano-jazz come McCoy Tyner. Oppure cerca di riscoprire personaggi dimenticati, ma fondamentali per l’affermazione della musica cubana moderna, andando a documentarsi sulla figura di Arsenio Rodriguez (classe 1911), rendendogli omaggio nell’album ‘Los cubanos postizos’ (1998). Non ha certo paura di perdere la faccia. Se ne infischia di apparire o suonare sempre in maniera dignitosa, impeccabile, ed è capace di esibirsi anarchicamente, in un set costellato di sonorità noise, che possono anche infastidire un orecchio non aperto od accostumato, ma riescono a far breccia nell’immobilità di un ascolto banale, regalando emozionanti improvvisazioni. E’ ciò che capitò alcuni anni or sono, al tempo della lira, nell’aula Magna ai Tolentini, sede dello IUAV. E’ forse per questo che Ribot piace tanto ai musicisti? Ha suonato a lungo con Tom Waits e compare accanto a Marianne Faithfull, Arto Lindsay, Caetano Veloso, Laurie Anderson, la grande cantante peruana Susana Baca, l’instabile Madeleine Peyroux, la brasiliana Marisa Monte, Elton John, Leon Russell, l’ex Led Zeppelin Robert Plant, fino al nostro estroso Vinicio Capossela. Oltre a rispondere sempre presente, quando il sassofonista e compositore John Zorn lo convoca per un nuovo progetto.

Al Candiani ci sarà da soffrire. Lo ascolteremo nel trio ‘Ceramic Dog’, letteralmente “cane di ceramica”, un’espressione che sta a significare il gelo sotto il quale si cela l’emozione, il cane fotografato nel momento in cui gli si rizza il pelo prima di un combattimento, gli innamorati che si guardano fisso nel volto, assumendo un’espressione catatonica. Anche se al leader non piace che la sua musica venga inserita in un genere predefinito, Ceramic Dog è un avant-garage trio – basso, chitarra e batteria – impegnato sulle elettrosperimentazioni ad alto volume.