L’“Itanglese” spopola nelle aziende

0
497
L’impiego di parole inglesi nelle comunicazioni aziendali al posto dei corrispondenti lemmi in italiano contribuisce ad impoverire la lingua, oltre a compromettere la comprensione e l’intelligibilità di ciò che si scrive o si dice (oltre a dimostrare un certo livello d’ignoranza)

Per il quarto anno, l’agenzia di traduzioni Agostini Associati (agenzia leader di servizi di traduzione e interpretariato nata nel 1997, traduce per il 70% delle aziende dell’indice FTSE MIB e fornisce le sue traduzioni a più di 600 società nazionali ed internazionali) ha condotto la consueta indagine sull’“Itanglese”, ovvero sul fenomeno dell’uso e importazione di termini inglesi all’interno nella lingua italiana scritta da parte delle aziende italiane.

La nuova rilevazione, condotta su una base di documenti tradotti dall’italiano verso altre lingue nell’anno 2013 versus una base equivalente del 2012*, evidenzia una nuova crescita del 440% degli anglicismi. Nel dettaglio, sulla base della nostra ricerca quest’anno, i tre termini inglesi più utilizzati in azienda sono stati “Tablet”, “Call” e “Store”. Ecco la classifica dei primi 10 termini “inglesi” più ricorrenti nel campione analizzato nel 2013:

Classifica

Parola Inglese importata dalle aziende

Termini equivalenti in italiano

1

Tablet

Tavoletta Digitale

2

Call

Chiamata

3

Store

Negozio

4

Device

Dispositivo

5

Smartphone

Cellulare intelligente

6

Revenue

Ricavi, Fatturato

7

Look

Aspetto, Immagine

8

Cloud

Nuvola

9

Concept

Idea

10

Slide

Diapositiva

Fonte Dati: ricerca Agostini Associati 2014

«L’importazione massiva di anglicismi cresce rapidamente alla velocità della diffusione delle tecnologie digitali; di questo passo tra 15 anni parleremo tutti il nuovo idioma “Itanglese”, ovvero l’abbinamento di poco italiano e tanto inglese. Tra i termini preferiti nel 2013 si conferma per il quarto anno la crescita di parole legate alle nuove tecnologie informatiche, con alcune novità come “Store” (chiudono i negozi, ma aprono gli “store”), “Revenue” (non ci bastano i termini ricavi e fatturato?) e “Slide” (qui non c’entra la presentazione di lancio del governo Renzi)» afferma Ale Agostini, socio dell’agenzia di traduzioni Agostini Associati. «Da quest’anno abbiamo affiancato alla classifica “Itanglese” anche un possibile termine equivalente in italiano. Questo nella speranza di tornare ad usare l’italiano anche per cose banali dove abbiamo importato inutilmente gli anglicismi. Un esempio fra tutti: “Call” invece di “Telefonata”. Perché come diceva lo spot di SIP interpretato da Massimo Lopez “Una telefonata ti allunga la vita…dell’italiano”».

La nuova indagine è stata presentata dal prof. Massimo Arcangeli, partner scientifico della Agostini Associati, durante il Festival madrelingua di Roma, evento promosso dalla Società Dante Alighieri e dedicato ad incontri con studiosi, artisti ed esperti della lingua e della letteratura italiana per meglio riflettere su alcuni grandi temi del dibattito culturale contemporaneo. Secondo Arcangeli, che nei prossimi mesi misurerà il grado di comprensione di alcuni recenti termini ed espressioni inglesi in un campione di parlanti italiani, «certo, risibile ed esasperato filoangloamericanismo va guardato con sospetto. Lanciare anatemi, bandire crociate, attestarsi su indifendibili posizioni di retroguardia contro l’invasore inglese è un conto, denunciare l’abbondante superamento del livello di guardia della sua presenza è ben diversa faccenda. E ormai si è davvero superato il limite: lo snobismo esterofilo, favorito dalla congiuntura politica, è divenuto in certi settori insopportabile». Una posizione condivisibile, che dovrebbe essere fatta propria ad iniziare dai vertici delle aziende (e, già che ci siamo, anche da quelli del governo, ad iniziare dal premier Matteo Renzi), perché la lingua italiana costituisce un primario valore per l’identità nazionale e per la cultura. Eppoi, attenzione a blandire con troppa faciloneria l’inglese: oltre a rischiare di non farsi capire da coloro che l’inglese non lo conoscono (particolare questo non trascurabile), c’è il rischio di apparire pure ignoranti della lingua di Dante.