Al Teatro Malibran di Venezia penultimo appuntamento della Stagione sinfonica

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Tratro la fenice direttore gaetano dEspinosa 1Gaetano d’Espinosa dirige musiche di Ravel, Schnittke, Carter e Berio

Venerdì 13 giugno 2014 alle ore 20.00 (turno S), con replica sabato 14 alle 20.00 (fuori abbonamento), il Teatro Malibran di Venezia ospita il dodicesimo e penultimo concerto della Stagione sinfonica 2013-2014, dedicato, come l’intera stagione, al Novecento, in particolare alle esperienze internazionali esterne al filone austro-tedesco.

Diretto dal maestro palermitano Gaetano d’Espinosa, per diversi anni Konzertmeister alla Staatskapelle di Dresda, il concerto spazierà dalla scuola francese a quella sovietica, da quella americana a quella italiana, con nella prima parte la suite per orchestra Le tombeau de Couperin (1919) di Maurice Ravel e Monologue per viola e archi (1989) di Alfred Schnittke e nella seconda parte la prima esecuzione italiana di Elegy per orchestra d’archi (1939/1952) di Elliott Carter e Rendering (1990) di Luciano Berio. Viola solista nel brano di Schnittke sarà Alfredo Zamarra.
Il concerto di venerdì 13 giugno sarà trasmesso in differita da Rai Radio3.
Composto alla fine della Prima guerra mondiale, Le tombeau de Couperin di Ravel è formato da una serie di brani dedicati ciascuno a un commilitone scomparso in guerra: una suite per pianoforte che, in programmatica opposizione all’eloquenza tardoromantica, prevede il recupero di forme del barocco e del rococò come la forlana, la giga, il rigaudon, il menuet, la fuga, la toccata. Il tombeau era un genere letterario alla memoria di un grande. Ravel lo riprende in onore del più illustre clavicembalista francese del XVIII secolo, Couperin. La pianista Marguerite Long, vedova del musicologo Joseph de Marliave, dedicatario della Toccata, fu la prima ad interpretare l’opera, l’11 aprile 1919, alla Salle Gaveau. Prélude, Forlane, Menuet e Rigaudon vennero poi strumentati da Ravel per l’Orchestra Pasdeloup, adottando un piccolo organico con l’arpa, ma senza percussioni. In seguito i Balletti svedesi di Jean Börlin ne ricavarono una coreografia. Il 15 giugno 1921 lo stesso Ravel diresse la centesima replica.
Dedicato a Yuri Bashmet, che lo presentò in prima assoluta con I Solisti di Mosca il 4 giugno 1989 alla Beethovenhalle di Bonn, Monologue per viola e archi di Alfred Schnittke allude nel titolo a una ricorrente fantasia angosciosa del compositore: il pensiero che «non siamo mai soli» e che anche nei momenti più intimi e privati qualcuno ci ascolta. E così l’inizio di Monologue è solo apparentemente un monologo: il motto di apertura della viola, quasi un messaggio cifrato enunciato in lunghissime brevi e semibrevi, è sommessamente pedinato dall’orchestra nota per nota. Gli archi catturano e ridistribuiscono la melodia del solista in gruppi armonici dissonanti, quasi immagine sonora dell’ansietà crescente. Questo semplice procedimento governa Monologue in tutti i rimanenti 15 minuti con un rigore assoluto quasi antitetico al tono pensoso, intensamente emotivo del brano.
Nato a Manhattan nel 1908 e morto pluricentenario, sempre a New York, nel 2012, Elliott Carter scrisse quattro versioni di Elegy, la prima nel 1939 per violoncello e pianoforte, la seconda nel 1946 per quartetto d’archi, la terza (eseguita nel presente concerto) nel 1952 per orchestra d’archi, la quarta, e definitiva, nel 1961 per viola e pianoforte. Il brano appartiene alla prima maniera del compositore, precedente alla svolta stilistica degli anni cinquanta (riassunta nelle formule della «modulazione ritmica» e delle «poliritmie urbane»), e rispecchia l’influsso della scuola di Nadia Boulanger – con cui il compositore americano aveva studiato a Parigi negli anni trenta – e del neoclassicismo stravinskiano. Ancora evidente è l’uso della tonalità, la ricerca di un’espressività lirica ed intima, un clima raccolto senza increspature. Vien fatto di pensare all’inizio dell’Adagio per archi di Barber.
Rendering, eseguito per la prima volta dall’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam nel 1990 (versione definitiva in tre tempi), è il risultato del lavoro di Luciano Berio sui frammenti di una Sinfonia in re maggiore che fu l’ultimo progetto sinfonico di Schubert, brutalmente interrotto dalla morte prematura. Invece di tentare una impossibile e arbitraria ricostruzione, Berio ha operato una sorta di «restauro» degli abbozzi strumentandoli, completandoli e inserendo nelle lacune tra un frammento e l’altro un tessuto connettivo musicale che assume la funzione del muro intonacato nei pezzi perduti di un affresco. Intessuto di materiali schubertiani, fittamente rielaborati in modo da suscitare reminiscenze vaghe, questo «intonaco» è tuttavia manifestamente altra cosa rispetto ai frammenti della sinfonia: annunciato dalla celesta, ne interrompe lo svolgimento ed è sempre caratterizzato da un pianissimo immerso in atmosfere oniriche e «lontane». Esalta la bellezza dei frammenti schubertiani circondandoli di un’aura struggente, facendone percepire poeticamente la distanza dal nostro oggi. Più di qualsiasi altro suo lavoro, Rendering offre uno sguardo intimo e complesso sul rapporto creativo di Berio con i retaggi della storia.