L’inganno felice di Gioachino Rossini al Teatro La Fenice

0
482
teatro la fenice Linganno Felice 4 1
teatro la fenice Linganno Felice 4 1Farsa per musica in un atto con protagonisti i migliori allievi delle scuole artistiche venete

Giovedì 18 settembre 2014 alle ore 19.00 andrà in scena al Teatro La Fenice L’inganno felice, farsa per musica in un atto di Gioachino Rossini su libretto di Giuseppe Maria Foppa, seconda delle cinque farse composte tra il 1810 e il 1813 dal ventenne Rossini per il Teatro Giustiniani di San Moisè dove fu rappresentata l’8 gennaio 1812.

L’opera, che narra la peripezia fortunata di Isabella, moglie fedele del duca Bertrando, scampata alla morte e poi ritrovata in un villaggio di minatori nei panni della montanara Nisa, si alternerà sul palcoscenico della Fenice alla Traviata e al Trovatore di Giuseppe Verdi, con un totale di 11 rappresentazioni in 12 giorni tra mercoledì 17 e domenica 28 settembre.
La produzione costituirà una ripresa, adattata alle scene della Fenice, dell’allestimento prodotto nel 2012 al Teatro Malibran nell’ambito del progetto «Atelier della Fenice al Teatro Malibran», l’iniziativa della Fondazione Teatro La Fenice volta ad offrire ai migliori giovani allievi dei principali istituti cittadini di formazione artistica – e in particolare dell’Accademia di Belle Arti – l’occasione di esprimersi artisticamente e formarsi professionalmente attraverso un concreto lavoro di realizzazione teatrale appoggiato sulle risorse organizzative e produttive del Teatro La Fenice. Tra il 2012 e il 2015 l’Atelier, coordinato dal direttore della produzione artistica della Fenice Bepi Morassi, si è concentrato sulla messa in scena delle cinque farse giovanili rossiniane (L’inganno felice e L’occasione fa il ladro nel 2012, La cambiale di matrimonio nel 2013, La scala di seta nel 2014 e Il signor Bruschino nel 2015), con la regia di alcuni importanti registi italiani (Enzo Dara, Bepi Morassi, Elisabetta Brusa) e con scene, costumi e luci affidate in ogni loro aspetto agli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.
La regia dell’Inganno felice è firmata da Bepi Morassi; scene, costumi e luci sono opera della Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti guidata dai tutors Giuseppe Ranchetti (laboratorio scene), Paola Cortelazzo (laboratorio progettazione costumi), Giovanna Fiorentini (laboratorio costumi) e Fabio Barettin (laboratorio luci), su progetti degli studenti Fabio Carpene (scene), Federica De Bona (costumi) e Andrea Sanson (luci) realizzati in appositi laboratori cui hanno partecipato una quarantina di studenti dell’Accademia. Dal punto di vista musicale la concertazione e la direzione dell’opera è affidata a Stefano Montanari, che dirigerà l’Orchestra del Teatro La Fenice e un cast di giovani specialisti del repertorio rossiniano cresciuto nell’ambito dell’Atelier e formato dal tenore Giorgio Misseri nel ruolo del duca Bertrando, dal soprano Marina Bucciarelli in quello della duchessa Isabella e dai baritoni Marco Filippo Romano in quello del perfido Ormondo, Filippo Fontana in quello del suo confidente Batone e Omar Montanari in quello del minatore Tarabotto. Maestro al fortepiano Roberta Ferrari.
La prima del 18 settembre 2014, trasmessa in diretta Euroradio, sarà seguita da tre repliche tutte fuori abbonamento, domenica 21 alle ore 15.30, martedì 23 alle 19.00 e sabato 27 alle 15.30.
Nel periodo a cavallo fra tardo Settecento e primo Ottocento si diffuse nei teatri d’opera italiani il genere comico della farsa in un atto. Tale genere, che conobbe particolare fortuna a Venezia (soprattutto presso i teatri ‘minori’ della città), ebbe vita breve (si esaurì nei primi decenni del secolo) e venne coltivato, oltre che da Rossini e Donizetti, da autori quali Giuseppe Nicolini, Giovanni Simone Mayr, Ferdinando Paër, Giuseppe Farinelli, Pietro Generali; fra i librettisti si ricordano invece i veneziani Giuseppe Foppa e Gaetano Rossi.
Nonostante l’effimera durata del suo successo, la farsa in un atto è considerata di notevole importanza storica, innanzitutto per l’impulso dato alla nascita e alla diffusione del repertorio. Costruita con personaggi e ingredienti drammaturgici tipici dell’opera comica settecentesca (giovani innamorati, serve astute, vecchi sciocchi e avidi, non di rado protagonisti di conflitti generazionali), la farsa se ne distanziava soprattutto perché la sua brevità costringeva a serrati ritmi drammatici, costituiti di equivoci, sorprese e colpi di scena. Presto, durante il suo sviluppo, la farsa si arricchì della vocalità di coloratura (vi si cimentavano infatti molti cantanti di successo) e di azioni pantomimiche che ponevano in primo piano le capacità teatrali degli attori e del direttore di scena; nel primo Ottocento essa acquisì anche soggetti di conio borghese-sentimentale – già peraltro sperimentati nel genere comico in più atti grazie al «dramma giocoso» goldoniano –, mantenendo però la brevità come tratto distintivo.
Fu proprio nell’ambito della farsa che il giovane Rossini intraprese la carriera di compositore d’opera, firmando nel triennio 1810-1813 cinque titoli per il Teatro San Moisè di Venezia: La cambiale di matrimonio, L’inganno felice, La scala di seta, L’occasione fa il ladro, Il signor Bruschino. Ad accomunare i cinque lavori furono le consistenti affinità di struttura: sei personaggi (cinque nell’Inganno felice) per una forma articolata in: 1. sinfonia, 2. introduzione tripartita (duettino, cavatina e terzetto), 3. duetto o aria, 4. aria, 5. concertato, 6-7. duetto e aria (o viceversa), 8. finale (in almeno tre tempi, con, nella stretta, il tutti consueto).
Composta su libretto di Foppa, presentata al pubblico del San Moisè l’8 gennaio 1812 – con interpreti di rango come Teresa Giorgi Belloc (Isabella) e il basso Filippo Galli nel ruolo di Batone – e ripresa negli anni successivi a Torino, Napoli, Milano e Parigi, L’inganno felice è una farsa che si distingue per la cospicua presenza di elementi seri, tanto da poter essere definita «melodramma romantico con elementi buffi» (Richard Osborne). In effetti l’antefatto è da genere serio: Isabella, ritenuta colpevole di adulterio dal marito, il duca Bertrando, viene condannata a morire abbandonata su di una barca; il Duca crede alle calunnie del cortigiano Ormondo, imbastite per desiderio di vendetta di fronte al virtuoso diniego della donna. Tutta l’opera è anche pervasa da un tono lirico-sentimentale, che conosce i momenti di sfogo più idonei nelle parti della protagonista (come l’aria «Al più dolce e caro oggetto») e che limita l’espressione ‘farsesca’ (nel senso comune del termine) solo ad episodi secondari, peraltro assai gustosi, come il duetto «Va taluno mormorando».