Assemblea 2016 Confindustria Modena all’insegna di “Industria 4.0, una partita da vincere”

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Assemblea confindustria Modena presidente ValterCaiumi 2016
Caiumi: «importante fare alleanze e reti sul territorio, ad iniziare dall’automotive»

 

Assemblea confindustria Modena presidente ValterCaiumi 2016Assemblea generale 2016 di Confindustria Modena al Forum “Monzani” all’insegna dello slogan “Industria 4.0, una partita da vincere”. Di seguito una sintesi dell’appassionato intervento del presidente degli imprenditori, Walter Caiumi.

 

L’economia mondiale

Il rallentamento del commercio mondiale, in primis dei Brics, ha presentato il conto anche all’Italia, che nei primi quattro mesi dell’anno ha perso su quei mercati il 4,8%, 2,9 miliardi di vendite in meno. Il peggior risultato dalla fine del 2009. Ma il nostro Paese, grazie a una buona tenuta sui mercati europeo e statunitense, nel 2015 è riuscito a mettere a segno una prestazione di tutto rispetto, +3,8%; l’Emilia-Romagna si è contraddistinta con un +4,4%, e Modena, invece, che si è fermata a un +3,5%.

 

La situazione italiana 

Come sempre le esportazioni si sono dimostrate l’ancora di salvezza di un’economia, quella italiana, che si avvicina sempre più alla stagnazione. Nel primo trimestre la produzione industriale cresce di un modestissimo 0,7%, e senza un’inversione di tendenza, anche l’obiettivo di crescita del Pil dell’1,2% quasi certamente non verrà raggiunto. È vero che usciamo da una tremenda recessione che ci ha fatto perdere il 25% della produzione. Ma la risalita appare troppo lenta e incerta e nemmeno condizioni esterne abbastanza favorevoli (basso costo del denaro, svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro, basso prezzo del petrolio) hanno dato una scossa significativa. 

 

L’export e il “bipolarismo”

La lunga crisi che abbiamo vissuto ha determinato una sorta di frattura nei vari settori dell’industria, tra chi è riuscito a stare con successo sui mercati internazionali e chi ne è rimasto escluso. Frattura che è anche territoriale: le imprese trainanti sono concentrate in poche regioni del Nord (Lombardia, Emilia, parte del Veneto e del Piemonte) mentre nelle altre prevale l’industria tradizionale con mercato prevalentemente interno.

Una indagine recente di Prometeia ha messo in luce questo “bipolarismo” e lo schema “20-80”: in Italia su cinque milioni di imprese, di cui 550mila manifatturiere, solamente 220mila si possono definire esportatrici, e solo il 20% di queste esporta abitualmente e in maniera strutturata, il restante 80% vende all’estero in maniera occasionale o indiretta. Anche la nostra regione non si discosta di molto da questo trend: su 24mila aziende esportatrici solo il 30% lo fa in maniera costante.

 

Il referendum costituzionale

Il referendum sulle riforme costituzionali, su cui a ottobre siamo chiamati a esprimerci, si iscrive nel percorso di riforme che Europa ci chiede per mettere in efficienza i processi politici di decision-making. Si tratta di uno dei più importanti terreni per negoziare con la Commissione europea maggiori condizioni di flessibilità sui parametri che l’Italia deve rispettare. La fine del bicameralismo perfetto se, come auspichiamo, verrà approvata dal referendum, costituirà un risparmio indiscutibile per i contribuenti e decreterà la fine di un rimpallo continuo che allunga inutilmente l’iter dei provvedimenti legislativi. Tutto questo risulterà vitale per la nostra economia. 

 

L’importanza della manifattura

La crisi dal 2008 ci ha fatto perdere il 9% di Pil. Se non ricostituiamo il tessuto manifatturiero del Paese le prospettive di crescita dell’intera economia rimarranno modeste negli anni a venire, con pesanti implicazioni sul contesto sociale. Dall’industria di trasformazione prende origine gran parte dell’innovazione applicata al sistema produttivo. Il 72% della spesa nazionale in ricerca e sviluppo deriva dalla manifattura e da qui proviene l’82% dei beni esportabili. È provato che un aumento del peso del manifatturiero sul totale dell’economia innalza il tasso dell’intero Pil. Il Centro studi di Confindustria ha calcolato che un +1% della manifattura corrisponde a un innalzamento annuo di mezzo punto di Pil. Vogliamo tenerne conto? Siamo noi, con le nostre imprese che produciamo ricchezza.

 

La centralità delle filiere

Le nostre filiere produttive sono una realtà che non ha eguali nel mondo. Rappresentano una modalità articolata per collegare competenze e innovazione; generare networking tra diverse tipologie di imprese. Con un progetto di filiera si riesce a catalizzare il meglio del know-how dai grandi gruppi, che fanno da collegamento con il mondo intero; si possono presidiare nicchie globali, senza per questo perdere il contatto con il territorio in cui le imprese si sono consolidate; e soprattutto si possono tenere agganciate quelle piccole imprese che fanno parte di quell’80% solo saltuariamente internazionalizzato. 

In Emilia con Lamborghini e Ducati il gruppo Audi ha realizzato investimenti consistenti, così come il gruppo Fca a Modena con il centro sviluppo motori Alfa Romeo e Maserati. Le multinazionali del biomedicale di Mirandola non si sono fatte intimorire dal sisma del 2012 e continuano a investire in un territorio ricco di imprese avanzate e di competenze qualificate.

 

L’esempio automotive

Se le filiere sono l’asse portante del sistema industriale italiano e portano un valore aggiunto sostanziale alla nostra economia, abbiamo bisogno di una strategia in cui le imprese, i luoghi della formazione, i centri di ricerca, le istituzioni dei territori agiscano come un unico sistema integrato, per generare valore collettivo, sviluppare insieme competitività e coesione sociale.

Qui in Emilia ci stiamo provando con l’automotive. Abbiamo commissionato una ricerca specifica per studiare le peculiarità del distretto automotive, i “plus” che lo caratterizzano, e le principali misure da mettere in campo per renderlo sempre più attrattivo e competitivo. Dall’indagine è emerso che, pur in presenza di un settore che vanta risultati eccellenti, esistono numerosi gap che dobbiamo colmare. 

Per questo abbiamo aperto un tavolo di confronto costruttivo con la Regione, il Comune e l’Università per elaborare una strategia di filiera per generare convergenza e dialogo fra la compagine delle imprese, della ricerca e della formazione. L’intento comune è trasformare Modena nell’hub dei motori, con una sua Academy dedicata al veicolo. Solo così Modena e l’Emilia potranno diventare un modello di riferimento in grado di competere ai massimi livelli con i distretti europei. 

 

I sistemi di rappresentanza

I sistemi di rappresentanza hanno perso potere contrattuale ed efficacia. Questo vale per il sindacato, a cui rimproveriamo spesso di non sapere stare al passo con un’economia in costante transizione. Ma vale anche per noi. 

Proprio perché abbiamo a cuore la valorizzazione e la competitività delle imprese vogliamo essere i protagonisti di territoriali sempre più forti, capaci di imprimere un’accelerazione significativa alla modernizzazione del nostro sistema. Oltre che utile, è doveroso fare sì che anche i vertici della nostra rappresentanza prendano a riferimento il modello di cambiamento che stiamo perseguendo con la massima determinazione.

 

La fusione con Bologna e Ferrara

In questo contesto assume un significato ancora più rilevante il percorso che abbiamo intrapreso con Bologna e Ferrara e che porterà entro l’anno alla costituzione di Confindustria Emilia. La nostra fusione contribuirà in maniera sostanziale all’affermazione di un sistema imprenditoriale innovativo, internazionale e sostenibile. Acquisiremo più forza rappresentativa, potremo diventare un modello per altre territoriali, ed estendere la nostra capacità di aggregazione oltre i confini del nostro territorio per creare relazioni a livello nazionale e internazionale. Saremo i protagonisti di associazioni territoriali che sanno intercettare i trend dell’economia, che viaggiano alla velocità delle imprese, che ne sanno interpretare i bisogni e li portano all’attenzione di chi decide.

 

Un modello da condividere

Ma questo modello di innovazione e di aggregazione non vale solo per noi. Deve valere anche per territorio e per tutte le espressioni istituzionali che ne fanno parte. 

Mi riferisco per esempio alla costituzione delle Aree vaste, che dovranno ridisegnare le competenze dei Comuni e delle Province, ormai in via di abolizione. Anche il sistema della formazione e della ricerca ha bisogno di meno campanilismi e di maggiore proiezione verso il futuro. Così come le istituzioni economiche: penso alle Camere di Commercio, che stanno subendo un processo radicale di trasformazione.

 

Digitalizzazione

L’introduzione delle tecnologie digitali nei sistemi industriali è un processo evolutivo già in corso nelle nostre imprese, e che continuerà a interessarle per lungo tempo modificandone radicalmente i processi organizzativi e di business, oltre che le competenze e più in generale la cultura.

Con l’integrazione sempre più stretta delle tecnologie digitali nei processi industriali manifatturieri cambierà il volto dei prodotti e dei processi; verranno annullate le differenze tra industria e servizi, tra produttori e consumatori, tra hardware e software. 

Una piattaforma articolata per la divulgazione e l’applicazione dell’“Industria 4.0” deve immediatamente entrare nell’agenda del governo e dei ministeri competenti. E bene ha fatto il nuovo ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, profondo conoscitore delle esigenze del nostro mondo imprenditoriale, abbia subito indicato l’“Industria 4.0” come priorità. I benefici economici che ne deriveranno potrebbero sorprenderci. La “Fabbrica intelligente” è sicuramente la nuova frontiera del sistema produttivo.