Il “Patto di stabilità” blocca parte delle risorse disponibili in cassa. Rossi: «garantiti gli stipendi e gli impegni di spesa. Saranno rinviati i pagamenti non urgenti»
Gli effetti delle decisioni degli ultimi anni del governo dell’Autonomia speciale del Trentino in tema di compartecipazione al risanamento dei conti disastrati dello Stato incominciano a mostrare in pieno tutti i loro nefasti effetti.
Nel girono di due anni, al bilancio del Trentino sono venuti a mancare circa 1.500 milioni di euro: soldi prodotti in loco tramite il gettito fiscale che l’Autonomia gira a Roma in cambio di una maggiore stabilità dell’assetto autonomistico, ma che compromettono profondamente il bilancio locale e la capacità di fronteggiare gli impegni di spesa sia per la manutenzione corrente che per gli investimenti.
L’ultimo effetto negativo in ordine di tempo è l’annuncio che a partire dal prossimo settembre la provincia di Trento dovrà rivedere la sua politica di spesa, in quanto da quest’anno, dopo i rilievi fatti dalla Corte dei Conti che ha strigliato la giunta Rossi, non è più possibile utilizzare l’escamotage dell’anticipo di cassa tramite la controllata Cassa del Trentino (che emetteva obbligazioni a breve per finanziare le necessità di liquidità della Provincia impossibilitata dal Patto di stabilità a spendere risorse proprie presenti in bilancio). A farne le spese saranno i fornitori di servizi esterni, rimandando i pagamenti non urgenti in modo da garantire la puntualità nel pagamento degli stipendi al personale dipendente che assorbono ormai i due terzi del bilancio dell’Autonomia.
Il governatore Ugo Rossi si dice sereno: «riusciremo comunque a garantire la puntualità negli adempimenti. Siamo i migliori pagatori d’Italia e continueremo ad esserlo. Saranno rinviate solo alcune spese non urgenti».
Con il senno del poi, emerge come talune scelte politiche si siano rivelate dei boomerang per l’autonomia trentina: sia l’ex governatore (oggi deputato) Lorenzo Dellai che, più recentemente, Rossi sono stati eccessivamente acquiescenti nei confronti del governo centrale, aderendo alle richiesta di Monti, Letta e Renzi di aumentare la quota di compartecipazione alle spese dello Stato, nonostante che non ce ne fosse l’obbligo statutario e il diritto costituzionale fosse dalla parte dell’Autonomia trentina. Mentre Trento (e Bolzano) hanno calato le brache nei confronti di Roma, altri hanno fatto spallucce. Si prenda il caso della Sicilia che sulla carta gode di un’autonomia speciale ancora più vasta e profonda di quella trentina, solo che è stata gestita in modo pessimo: oltre a non avere dato il proprio contributo, la Sicilia ha continuato a sprecare e a “mungere” la cassa centrale ottenendo per giunta soddisfazione. Invece di commissariare la regione Sicilia per acclarata incapacità gestionale (aprendo però in casa PD un fortissimo problema politico), si continuano ad erogare al governo di Palermo migliaia di milioni di euro che finiscono nel dilapidatoio siculo. E mentre in Sicilia si continua allegramente a scialare, in Trentino si deve stringere la cinghia e pagare per gli sprechi altrui.