Rapporto Legambiente in mare 135 piattaforme e 729 pozzi

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Diffuso il Rapporto #Dismettiamole. Secondo i protezionisti l’Adriatico maggiormente minacciato dall’attività estrattiva. La fascia costiera romagnola si è abbassata di 70 cm a Rimni e di oltre un metro da Cesenatico al Delta del Po

 

piattaforma petrolifera shutterstock 709959Sono 135 piattaforme a mare e 729 pozzi, fra le 69 concessioni di coltivazione di gas e petrolio, che si trovano da decenni, molte anche a poche miglia dalla linea di costa nelle acque italiane, in particolare in quelle dell’Adriatico. E’ quanto emerge dal dossier #Dismettiamole curato da Legambiente e presentato a Marina di Ravenna, in occasione della tappa della Goletta Verde che sta per terminare il suo periplo della Penisola.

Di queste strutture, viene osservato nel rapporto, «38 piattaforme e 121 pozzi hanno ormai terminato la loro attività produttiva o erogano ormai talmente poco da far supporre – osserva l’associazione ambientalista – che le compagnie stiano semplicemente ritardando la loro chiusura formale e, di conseguenza, l’obbligo e gli oneri di smantellamento e ripristino iniziale dei luoghi, come previsto dalla normativa». Ed è per questo, viene spiegato, che Legambiente ha lanciato la campagna #Dismettiamole. «Più volte hanno provato a rassicurarci – dichiara il responsabile scientifico di Legambiente, Giorgio Zampetti – ma, come volevasi dimostrare, nuovi pozzi, dentro e fuori le aree vincolate, e nuove attività di ricerca, estrazione e prospezione continuano a mettere a rischio il mar Adriatico, lo Ionio, il Canale di Sicilia e il mar di Sardegna. Occorre evitare – aggiunge – che nuovi tratti di mare siano coinvolti dall’impatto di queste attività». 

In particolare, puntualizza Legambiente, a largo dell’Emilia-Romagna ci sono 22 concessioni di coltivazione attive e produttive che hanno estratto gas nel 2015 per 1,6 miliardi di standard metri cubi, il 35,4% della produzione a mare totale. Solo 6 concessioni su 22 pagano le royalties diconcessione. Esistono anche 3 concessioni di coltivazione non produttive; due istanze di concessione di coltivazione; tre permessi di ricerca attivi di cui due sospesi. Infine una istanza di permesso di ricerca tra Cervia e Fano per 430,8 kmq dell’Adriatic Oil. In totale, nei mari italiani, ci sono 7.254,5 chilometri quadrati destinati alle attività di ricerca, e 15.362,6 kmq interessati da nuove richieste. 

A giudizio di Legambiente le dismissioni sono da valutare anche sulla base delle conseguenze ambientali come quelle legate alla subsidenza. I dati dei monitoraggi Arpa evidenziano come le conseguenze più rilevanti si registrano sulla fascia costiera dell’Emilia-Romagna che, negli ultimi 55 anni, si è abbassata di 70 cm a Rimini e di oltre un metro da Cesenatico al Delta del Po. Di fatto, sottolinea Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia-Romagna, «la subsidenza rischia inoltre di aumentare l’impatto delle mareggiate e delle piene fluviali, favorendo l’erosione costiera, con perdita di spiaggia ed effetto negativo sulle attività turistiche rivierasche. Un caso esemplificativo – argomenta – è quello della piattaforma di estrazione di gas “Angela Angelina”, costruita nel 1997 a soli 2 km dalla costa di Lido di Dante, nel Ravennate, collegata a 10 pozzi eroganti e 4 non eroganti. La piattaforma è stata al centro del dibattito referendario, a causa dei suoi effetti sull’aumento della subsidenza lungo la costa. Di fronte al rischio fisico della costa e al futuro degli addetti del settore chiediamo alla politica che risposte pensa di dare. I cittadini aspettano una risposta del nuovo sindaco di Ravenna su questo tema». 

Il tema dello smantellamento delle piattaforme, viene ricordato nella nota, «è stato anche oggetto di una lettera di diffida a firma di Greenpeace, Legambiente e Wwf inviata nel maggio 2016 al ministero dello Sviluppo economico, sottolineando come, allo stato attuale dei fatti, diversi titoli abilitativi, per lo più localizzati entro la fascia delle 12 miglia, siano da rivedere e da controllare accuratamente per determinarne l’eventuale non compatibilità con le normative di settore, con conseguente revoca del titolo e – viene concluso – obbligo di ripristino e bonifica delle aree da parte delle società titolari».