Al via alla Fiera di Rimini la III edizione “Beer Attraction”, la fiera della brra

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A salone birra si affiancano “Food Attraction” e “BB Tech Expo”. Il problema del peso delle accise su un prodotto che ha ampi margini di crescita, ma che penalizza il presso finale per i consumatori

boccali birra biondaAl via alla Fiera di Rimini la terza edizione di Beer Attraction, salone dedicato alla birra – in programma fino al 21 – cui si aggiungono due nuove sezioni: “Food Attraction”, legata alla ristorazione, e “BB Tech Expo-Beer & Beverage Technologies”, incentrata sulle tecnologie per birre e bevande.

Diverse le novità della kermesse a partire dalle pizze con il pollo e i carretti birra ispirati a quelli dei gelatai d’un tempo; dalle birre nate tra i filari di vino a quelle sorte tra le risaie, passando dalle specialità birrarie per celiaci fino ad arrivare a quelle basate su segrete ricette di antichi monaci o profumate alle essenze più esotiche. 

«Si tratta, ancora una volta, di una vera sfida – sottolinea Lorenzo Cagnoni, presidente di Italian Exhibition Group, la società nata dall’integrazione tra Rimini Fiera e Fiera di Vicenza – dopo la positiva esperienza della seconda edizione, che ha visto la partecipazione di oltre 14.500 visitatori e 350 espositori dall’Italia e dall’estero. Quest’anno gli espositori, tra diretti e rappresentati, sono 431, oltre 600 invece gli incontri di affari organizzati in questi giorni per i buyer esteri, che provengono da 15 paesi europei».

La birra è un prodotto sempre più di successo, un prodotto sempre più amato dai giovani e dai mercati esteri, con una crescita sommessa ma esponenziale e numeri di tutto rispetto. Eppure, un successo quello dei birrifici artigianali – vero asso del “Made in Italy” – gravato da accise e burocrazia. Secondo UnioneBirrai (Cna) I micro-birrifici artigianali oggi in Italia sono circa 800, ma si arriva a 1.100 se si tiene conto delle cosiddette “beer firm”, i birrifici senza impianto di produzione proprio. Nel 2014 erano 700 e appena qualche decina vent’anni fa. Il settore dà lavoro a 3.000 addetti che salgono a 5.000 con l’indotto. Sul totale della birra prodotta in Italia, la quota di “artigianale” è salita dall’1,1% del 2011 (450.000 ettolitri) al 3,5% del 2016 (500.000 ettolitri). Stimando un valore di 4,5 euro a litro il fatturato complessivo dell’artigianato birrario italiano arriva a 225 milioni di euro. Per una quota tra il 15% e il 20% per cento garantito dalle esportazioni. 

Anche grazie al rafforzamento delle tipicità locali e dei marchi territoriali, soprattutto tra le nuove generazioni, la birra ha assunto la stessa dignità del vino. Ma con una differenza non da poco, per i produttori: sul vino non gravano accise, sulla birra sì. In 11 anni, il peso dell’accisa sulla birra è salito dall’1,65 euro per ettolitro per grado plato, vale a dire il potenziale alcoligeno, al 3,02%. Proprio da quest’anno, l’inarrestabile peso del fisco si è attenuato, sia pure appena dello 0,02%. Uno sconto che non fa differenza tra multinazionali e micro realtà produttive. Una situazione difforme dalla realtà di molti Paesi europei: ai micro-birrifici l’accisa viene applicata in misura inferiore a quella italiana in venti Paesi dell’Unione su 28. Ma il fisco non è l’unica zavorra a frenare la birra artigianale italiana, ci si mette naturalmente anche la burocrazia e una legislazione tarata sui colossi del settore. Sul fronte accisa, per facilitare la vita dei piccoli produttori la Cna ha proposto l’introduzione di un contatore digitale per semplificare il calcolo del dovuto. Ma, per un meccanismo burocratico perverso, tale semplificazione è stata fortemente depotenziata, facendo pagare ai birrai un pagamento anticipato sul mosto e non alla fine del processo produttivo e all’effettivo momento dell’imbottigliamento della birra. Come si sa, il mosto, nel diventare birra, perde intorno al 10% del suo volume: il produttore, quindi, è costretto a pagare l’accisa su una quantità maggiore della birra che potrà mettere in vendita. «Una doppia, amara beffa» conclude UnionBirrai.