“Forbidden Fruit” porta in CD l’opera di Nina Simone dei primi anni Sessanta

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I brani pubblicati per la prima volta in LP da Colpix ora rivivono in digitale con Jazz Images

Di Giovanni Greto

nina simone forbidden fruitFra i numerosi album di Jazz accostati alle immagini del fotografo francese Jean-Pierre Leloir (1931-2010), realizzate nei decenni 1950 e 1960, merita un attento ascolto “Forbidden Fruit”. Si tratta del secondo LP inciso in studio dalla pianista Nina Simone per l’etichetta newyorkese Colpix, tra il 1960 e il 1961 (le poche note di copertina non enunciano le date precise).

Sempre pronta a battersi per l’uguaglianza dei diritti civili, colpita fin da bambina, eppure già a dodici anni pronta a lottare per non vedersi calpestata, ma sconfitta quando, a causa della pelle nera, non riuscì mai ad ottenere una borsa di studio nonostante ne fosse meritevole, Eunice Kathleen Waymon (21 febbraio 1933- 21 aprile 2003) adottò il nome d’arte “Nina Simone” nel 1954, per evitare che sua madre, ministro della chiesa Metodista, venisse a scoprire che la figlia stava suonando la “musica del diavolo”. 

Le prime dieci tracce del CD, relative a “Forbidden Fruit”, vedono Nina accompagnata dalla sua abituale sezione ritmica: Al Shackman alla chitarra, Chris White al contrabbasso, Bobby Hamilton alla batteria. Dalla sua voce trapelano le sofferenze di una vita che non dev’essere stata facile da affrontare. E’ una scaletta in crescendo quanto a provocare emozioni in chi ascolta. Si rimane affascinati, sia nel suo modo di eseguire una ballad, che nei brani blues e soul. Ma c’è spazio anche per una sorprendente versione, leggermente latineggiante, di un caposaldo della musica tradizionale napoletana, “Dicitencello vuje”, che diventa “Just say I love him”. Le dieci canzoni parlano dei diversi aspetti dell’amore, da quello in cui tutto fila liscio a quello agitato, inquieto. La title-track, scritta da Oscar Brown Junior, è un motivetto allegro, a metà fra il Blues e il Rock’n Roll, nel quale il tema è suonato dalla pianista e dal batterista, che colpisce esclusivamente i bordi dei fusti, mentre il finale riserva un divertente botta e risposta fra Nina e i suoi partners.

Più jazzistiche, le tracce 11-18 testimoniano una parte (otto titoli su quindici) di “Little girl blue”, l’album del debutto, registrato in studio a New York nel dicembre 1957 con Jimmy Bond al contrabbasso ed un giovane Albert “Tootie” Heath alla batteria. Il primo brano, gustosissimo, è la versione originale di “My baby just cares for me”, che entrò in classifica trent’anni dopo l’uscita del disco, solo grazie a una pubblicità televisiva su Chanel. Una canzone affascinante, trascinata dal piano, dalla voce, che a tratti mette i brividi, dal basso puntiglioso e dalle spazzole taglienti e fruscianti. Tra gli altri pezzi, tutti molto belli, non si può non citare una versione di “Good Bait”di Tadd Dameron, che vede una lunga, accorata, parzialmente classica, introduzione di solo pianoforte, fino a sfociare in uno swing entusiasmante, contraddistinto, oltre che dalle spazzole e dal suono profondo del contrabbasso, da un’incantevole, dinamica improvvisazione di Nina. Il finale, romanticamente classico, è di nuovo al piano solo, prima di una riproposizione tematica, di nuovo in trio, ideata forse per stimolare l’applauso di una ipotetica platea.