Italia in crisi fino al 2025: lo dicono gli Usa

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Per il Veneto è giunto il momento di scegliere

di Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto

crisi economica ItaliaIn un dossier riservato dell’ambasciata statunitense predisposto in occasione della visita nell’ottobre scorso dell’allora primo ministro Matteo Renzi negli Usa, pubblicata dalla stampa italiana in questi giorni, emergono dati interessanti: innanzitutto c’è la conferma di quanto già sostenuto da uno studio della Commissione europea  un  paio d’anni fa, secondo il quale l’Italia uscirà dalla crisi economica solo dopo il 2025.

Anche gli analisti Usa concordano su ciò e confermano anche l’analisi, impietosa, che all’epoca si faceva a Bruxelles: carenze infrastrutturali, scarsa modernizzazione, burocrazia asfissiante, arretratezza della Pubblica amministrazione, sistema bancario traballante. A ciò gli statunitensi aggiungono una nota non marginale: ‘La capacità fiscale dell’Italia resterà severamente limitata per decenni, incluse nuove spese per la difesa’. In altre parole, la leva fiscale è già ai massimi. L’analisi statunitense tace su un aspetto invece messo in luce, a suo tempo, dall’analisi Europea circa il peso della malavita organizzata, che controlla parte del territorio e condiziona pesantemente la vita della stessa città capitale. Unanime, infine, la preoccupazione per l’elevato deficit pubblico ingovernabile. 

La diplomazia Usa tifava, sotto la presidenza Obama, per una forte politica centralista sostenendo, tra l’altro, che l’Italia fosse uno dei principali sostenitori del Ttip, il trattato transatlantico che in verità aveva suscitato non poche perplessità nella stessa maggioranza di governo: gli Usa dicono che la posizione pubblica dell’esecutivo in Italia  non era quella poi manifestata effettivamente nelle sedi internazionali. Non sarebbe la prima volta: caso esemplare lo scorso anno l’astensione all’Onu sulla risoluzione Unesco che negava per Gerusalemme ogni legame culturale e storico con l’ebraismo e Israele. Anche in quell’occasione, Renzi si stracciò le vesti per quel voto, da lui definito “allucinante”, ma poi non mosse dito quando a dicembre, sempre all’Onu, l’Italia non si oppose, anzi, ad una seconda risoluzione analoga a quella Unesco sempre su Gerusalemme e sempre contro Israele. Che questa doppiezza emerga su una trattativa, come quella del Ttip, fortemente avversata dall’opinione pubblica, dai produttori e dall’agricoltura italiana, fa riflettere sull’ambiguità di una politica che ai propri cittadini dice una cosa ma poi, nelle sedi decisionali dice e fa ben altro. 

Le previsioni negative per i prossimi 8 anni non sorprendono: già nel 2014 i report comunitari avevano previsto una lunga fase recessiva per l’Italia, ben sapendo che prima o poi i conti bisognava pagarli. L’aumento dell’accisa sulla benzina e tabacchi ormai dati per scontati son pannicelli rispetto alla cura drastica richiesta dall’Ue che ormai non si fida più dell’Italia incombono il fiscal compact e le clausole di salvaguardia che dovrebbero scattare con l’aumento dell’Iva dal 22 % al 24% per quella ordinaria e dal 10 al 13 % per quella agevolata.

Va da sé che, da solo, quest’ultimo aumento colpirebbe i consumi interni dando un durissimo colpo a parte del commercio e di quelle imprese che non esportano, mentre gli enti locali hanno le mani legate e non dispongono di fondi per forti investimenti infrastrutturali che potrebbero compensare, almeno in parte, la perdita di Pil. Lo scenario a breve è veramente devastante. 

Per il Veneto arriva il tempo delle scelte. Il percorso autonomista potrebbe assicurare una certa sicurezza sul fronte delle risorse e quindi sulla possibilità di garantire servizi e fare gli investimenti necessari all’economia e alla società. L’alternativa è continuare a pagare a pié di lista le contraddizioni di uno stato i cui limiti stanno diventando tanto insostenibili quanto insopportabili.