Troppa burocrazia per i trasporti eccezionali. Uggè: settore marittimo strategico per l’economia nazionale»
«Le associazioni del settore marittimo aderenti a Confcommercio stanno lavorando per rappresentare in maniera innovativa, unitaria ed integrata, gli interessi e le aspettative della filiera marittimo-portuale nazionale, per un confronto più efficace con il Governo, la Comunità Europea, le Istituzioni nazionali e locali competenti con l’auspicio che anche altri soggetti possano condividere questo progetto». E’ quanto recita il manifesto per una nuova politica marittima italiana e per un nuovo profilo di rappresentanza associativa presentato a conclusione del terzo forum internazionale di Conftrasporto a Cernobbio.
«Il settore marittimo mondiale sta vivendo una trasformazione epocale, le politiche comunitarie si stanno indirizzando sempre di più verso una integrazione complessiva delle attività e delle politiche per il Mare – recita il documento -. La recente riforma portuale e il Piano Strategico Nazionale della portualità e della logistica, introducono un maggior coordinamento delle decisioni strategiche in materia, richiedendo, quindi, una maggiore e più profonda sinergia tra associazioni, operatori e imprese del settore, il sistema logistico italiano dovrà sempre più trovarsi preparato per le sfide e le esigenze che le dinamiche internazionali presentano. Un approccio unitario dell’intero Sistema marittimo e del settore logistico nazionale è l’unico strumento in grado di valorizzare non solo le singole componenti ma l’intero comparto. Siamo di fronte non ad una stagione conclusiva di riforme ma bensi’ ad un inizio di una possibile rivoluzione».
«Un approccio unitario dell’intero sistema marittimo e del settore logistico nazionale è l’unico strumento in grado di valorizzare non solo le singole componenti ma l’intero comparto. Siamo di fronte non a una stagione conclusiva di riforme ma bensì a un inizio di una possibile rivoluzione» ha detto al termine del Forum internazionale di Cernobbio, il presidente di Conftrasporto, Paolo Uggè. «La vera grande sfida dei prossimi anni – ha sottolineato Uggè – riguarderà gli effetti dei cambiamenti radicali imposti dalla elaborazione, da parte dei singoli paesi europei, dei piani di gestione dello spazio marittimo che dovranno essere realizzati entro il 31 marzo 2021. Sviluppo e sostenibilità verranno affrontati congiuntamente e in modo decisamente innovativo, più che resistere ai cambiamenti bisognerà essere in grado di anticiparli e interpretarli». Questo, ha aggiunto, «determinerà il superamento delle politiche settoriali così come le abbiamo conosciute sino ad oggi, per dar vita a una visione integrata che avrà bisogno di una capacità politica nuova e di una rappresentanza associativa profondamente diversa rispetto a quella che ha caratterizzato in maniera tradizionale il settore».
«Riconosciamo la bontà della riforma portuale, ma denunciamo la burocrazia» sottolinea Uggè. Due dati su tutti: da una parte, la crescita dell’8% realizzata negli ultimi 12 anni in termini di Linear Shipping Connectivity Index, l’indicatore che misura il grado di connettività marina di una nazione rispetto al mondo. Una performance nettamente inferiore a quella di un concorrente come la Spagna, che nello stesso periodo ha segnato un progresso pari quasi al 50%. Dall’altra parte, le cifre legate alle movimentazioni portuali. Nel 2016, l’Italia ha segnato ancora un differenziale negativo del 15% rispetto al 2007, per 76 milioni di tonnellate in meno. Nello stesso anno, l’Europa a 28 ha sostanzialmente recuperato i livelli pre-crisi. Non certo una buona notizia se si considera che, come sottolineato da Uggè, «i porti sono le valvole cardiache del nostro sistema».
A testimoniare la crescente importanza del settore, in uno scenario sempre più caratterizzato dall’interconnessione, è un altro dato contenuto nel report: quello che vede i traffici intermodali nei porti in crescita del 25% per le rotabili e del 40% per i container tra il 2005 e il 2016. Gli scali marittimi, evidenzia l’associazione, paiono sempre meno luoghi di destinazione finale delle merci e sempre più aree di scambio, con la sfida per il sistema trasportistico italiano che diventa quella di avere un mare cha alimenta la gomma e una gomma che controalimenta il mare. A patto, però, che si riescano a superare alcune criticità.
«La logistica portuale può essere formidabile attrattore di investimenti esteri. Ma che cosa chiedono grandi gruppi mondiali? Che in nostri porti abbiano le performance che ci sono negli altri porti d’Europa», sintetizza Pasquale Russo, segretario generale di Conftrasporto, puntando il dito contro la lentezza nella realizzazione delle opere necessarie a migliorare la competitività degli hub. «Nel codice degli appalti è prevista la possibilità che ci siano procedure semplificate per alcuni settori speciali, tra i quali figurano porti. Perché non utilizzare questa possibilità che potrebbe velocizzare l’affidamento e quindi la realizzazione delle opere?», domanda Russo, mettendo in guardia rispetto al fatto che «abbiamo, soprattutto nei porti del Sud, il rischio di mandare indietro i soldi della programmazione europea 2014-2021».
Sempre meno luoghi di destinazione finale delle merci e sempre più aree di scambio tra modalità di trasporto, i porti alimentano anche il traffico intermodale su ferro (come avviene in Friuli e Liguria), che realizza negli ultimi 11 anni un incremento del 17% Il trasporto terrestre è invece il principale vettore di raccordo verso la destinazione finale dei prodotti. Mare e strada assorbono insieme oltre il 95% dei percorsi svolti dalla merce (nel 2015 mare 58,2%, strada 36,9%).
La burocrazia colpisce anche su strada: «per fare un solo trasporto eccezionale in otto province lombarde, gli autotrasportatori devono portare con sè oltre 5 chili di carta. Le aziende devono dare ai loro trasportatori degli zaini per portare tutta quella carta che poi nessun poliziotto a un controllo potrebbe mai leggere – ha evidenziato Uggè -. La crisi dei trasporti eccezionali sta diventando sempre più drammatica non solo per le imprese di autostraporto, ma anche per le imprese produttrici che stanno perdendo quote di mercato perché non sono in grado di garantire la consegna delle merci nei tempi necessari e quindi le imprese italiane vengono sostituite dai concorrenti stranieri».