Tasse: anche quest’anno si deve lavorare 5 mesi per pagarle

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Impercettibile calo (0,5%) della pressione fiscale sui contribuenti rispetto al 2017, che rimane a livelli insopportabili, specie se paragonata alla qualità dei servizi pubblici resi ai cittadini e imprese

tax freedom day giorno liberazione fiscale fuochi artificioOltre a commemorare la Festa della Repubblica, la Cgia segnala che il prossimo 2 giugno gli italiani celebreranno anche il tanto sospirato “Tax freedom day”:  dopo 5 mesi dall’inizio del 2018 (pari a 152 giorni lavorativi), il contribuente medio italiano avrà assolto tutti gli obblighi fiscali dell’anno (Irpef, accise, Imu, Tasi, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, etc.) e dal 2 giugno inizierà a guadagnare per se stesso e per la propria famiglia.

Un esercizio, secondo l’Associazione Artigiani di Mestre, del tutto astratto che, comunque, dà la dimensione di quanto sia smisurato il prelievo fiscale e contributivo dai portafogli degli italiani.

In che modo si è giunti a individuare il 2 giugno come il “Giorno di liberazione fiscale” del 2018? L’Ufficio studi della Cgia ha preso in esame la stima del Pil nazionale di quest’anno e l’ha suddiviso per 365 giorni, ottenendo così un dato medio giornaliero. Successivamente, ha considerato le previsioni di gettito dei contributi previdenziali, delle imposte e delle tasse che i percettori di reddito verseranno nel 2018 e le ha rapportate al Pil giornaliero. Il risultato di questa operazione ha consentito di calcolare il “Giorno di liberazione fiscale” di quest’anno. 

«Al netto di eventuali manovre correttive – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – quest’anno la pressione fiscale è destinata a scendere di mezzo punto percentuale rispetto al dato medio del 2017, per attestarsi, al lordo dell’effetto del bonus Renzi, al 42,1%. Una discesa ancora troppo lenta e quasi impercettibile che, per l’anno in corso, è ascrivibile, in particolar modo, alla crescita del Pil e solo in minima parte alla diminuzione delle tasse».  

Sebbene sia in calo dal 2013, negli ultimi 25 anni il “Tax freedom day” più “precoce” si è verificato nel 2005. In quell’occasione, con il Governo Berlusconi II, la pressione fiscale si attestò al 39,1% e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 24 maggio (143 giorni lavorativi) per scrollarsi di dosso il giogo fiscale.

Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo“, invece, si è registrato nel 2012 (anno bisestile), anno in cui alla guida del Paese c’era Mario Monti. Questo risultato così negativo si verificò perché la pressione fiscale raggiunse il record storico del 43,6% e, di conseguenza, il “Giorno di liberazione fiscale” si celebrò “solo” il 9 giugno (dopo ben 160 giorni lavorativi) 

Dal 2014 ad oggi i contribuenti si sono  “svincolati” sempre prima dal pagamento delle tasse perché la pressione fiscale ha iniziato a diminuire a seguito della cancellazione della Tasi sulla prima casa, dell’introduzione del “bonus Renzi” e di una serie di misure di alleggerimento dell’Irap sul costo del lavoro, per l’abolizione temporanea dei contributi previdenziali in capo ai neo assunti con un contratto a tempo indeterminato, per il taglio dell’Ires, per la ripresa del Pil e anche a seguito del blocco delle tasse locali. Dal 2016, va ricordato che, ad eccezione della Tari, tutte le altre imposte locali (Imu, Tasi, Irap, addizionali regionali/comunali Irpef, Tosap, bollo auto, etc.) sono state congelate per legge.

«Al netto delle strepitose promesse elettorali annunciate in queste ultime settimane da una buona parte dei big politici – conclude Zabeo – entro la fine di quest’anno chi sarà chiamato a governare il Paese dovrà recuperare quasi 12,5 miliardi di euro per sterilizzare l’ennesima clausola di salvaguardia, altrimenti dal 1 gennaio 2019 l’aliquota Iva del 10% salirà all’11,5 e quella attualmente al 22% si alzerà al 24,2%».

Nel 2016 (ultimo anno in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino al 2 giugno (154 giorni lavorativi), vale a dire 4 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 9 se, invece, il confronto è realizzato con la media dei 28 Paesi che compongono l’Unione europea.

Se si confronta il “Tax freedom day” italiano con quello dei principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore (+21), mentre tutti gli altri hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale con un netto anticipo. In Germania, ad esempio, 7 giorni prima dell’Italia, in Olanda 12, nel Regno Unito 27 e in Spagna 28. Il paese più virtuoso è l’Irlanda: con una fantasmagorica pressione fiscale del 23,6% consente ai propri contribuenti di assolvere gli obblighi fiscali in soli 86 giorni lavorativi.cgia evoluzione pressione fiscale