Itinerari previdenziali: il sistema pensionistico è sano, mentre è grave quello assistenziale

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Una pensione per famiglia. In tema di welfare, Italia batte la Svezia. Da sanità a previdenza spesa vale 57% entrate. La spesa pensionistica assorbe 150 miliardi a fronte di versamenti per 181 miliardi

pensioniIl centro studi “Itinerari previdenziali” presieduto da Alberto Brambilla ha radiografato il sistema assistenziale italiano al 2016, che comprende pensioni, assistenza, invalidità e sanità, comparto che assorbe il 57% del totale delle entrate fiscali.

In Italia ogni famiglia può contare su una pensione, sommando assegni per vecchiaia e anzianità a quelli di tipo assistenziale. Secondo il dossier, «la spesa pensionistica è sotto controllo» ma questa è una sola faccia della medaglia. Crescono, invece, «a ritmi insostenibili» le uscite per invalidità, accompagnamento, voci che compongono la parte slegata dai contributi versati previdenziali, ma che oggi viene alimentata dal grande calderone Inps. 

Si contano sempre meno pensionati, mai così pochi dal 1995, ma il numero degli assegni pagati per ciascuno aumenta. Ogni “ritirato” riceve in media 1,43 prestazioni. In rapporto alla popolazione intera, si tratta di una pensione per ogni 2,638 abitanti, dunque per nucleo familare. Lo studio invita poi a riflettere su come dei 16,1 milioni di pensionati, oltre la metà siano sostenuti in tutto o in parte da somme assistenziali. Tanto che «su 830 miliardi di spesa pubblica totale, per sanità, pensioni e assistenza abbiamo speso 452 miliardi». E se, aggiunge, «calcoliamo tale spesa sulle entrate, l’incidenza aumenta al 57,32%, un valore più alto di quello raggiunto dalla Svezia, considerata la patria del welfare». 

La proposta rilanciata dal presidente del centro studi, Albero Brambilla, sta nel separare gli esborsi dovuti alla previdenza da quelli che ricadono sotto l’assistenza. «Così si vedrebbe che l’incidenza sul Pil della spesa pensionistica è in linea con quella del resto d’Europa. Il vero problema – ha sottolineato Brambilla – è semmai mettere sotto controllo la spesa assistenziale e le entrate fiscali, con una coraggiosa riforma di sistema basata sul monitoraggio della prima con l’anagrafe generale dell’assistenza e introducendo, per arginare i fenomeni di evasione fiscale, il contrasto di interessi. Diversamente, si renderà sempre più fragile il sistema di protezione sociale e si continueranno a perdere risorse preziose da investire in sviluppo capace di aumentare produttività e generare Pil».

Per il consigliere di palazzo Chigi, Marco Leonardi, avverte come riclassificare le uscite non sia cosa facile. Tuttavia, assicura, arriveranno presto, prima del voto, i decreti per l’istituzione delle commissioni per fare ordine tra i diversi canali di spesa e tarare l’aspettativa di vita sulla base del lavoro svolto. Secondo Leonardi comunque i margini per tentare ritocchi sono stretti: «l’unica cosa possibile è continuare sulla strada aperta in questi anni, agendo in maniera chirurgica». 

Per il viceministro all’Economia, Enrico Morando, abolire la riforma Fornero, «da qua al 2050, quindi all’incirca nei prossimi trent’anni, tornare alla legislazione previgente, significa dover trovare approssimativamente 320 miliardi di euro». 

Stando al dossier si potrebbe recuperare gettito dai mancati versamenti. «I dipendenti pubblici, che rappresentano circa il 17% del totale dei pensionati, pagano circa un terzo di tutte le tasse; considerando che i redditi dei pubblici dipendenti sono simili a quelli del settore privato, emerge l’enorme evasione fiscale e contributiva», si denuncia. 

Secondo Giorgio Ambrogioni, presidente di CIDA (la Confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità pubbliche e private), «la spesa pensionistica nel 2016 è ammontata a poco più di 200 miliardi, che scendono a 150 miliardi al netto delle imposte, a fronte di entrate contributive di oltre 180 miliardi: alla luce di questi numeri forniti da “Itinerari previdenziali” viene smentita ogni ipotesi di “allarme pensioni”». Il primo punto che l’analisi di Alberto Brambilla pone all’attenzione è quello della separazione fra assistenza e previdenza. La prima, infatti, deve andare necessariamente a carico della fiscalità generale per comprenderne la reale portata e consentire una veritiera lettura dei bilanci dell’Inps. «Altro elemento che emerge – ha aggiunto Ambrogioni – riguarda i presunti “allarmi” in tema di spesa pensionistica provenienti dagli organismi internazionali, dal Fmi, dall’Ocse e dall’Eurostat. I dati di partenza sono comunque forniti dall’Istat, visto che le istituzioni economiche internazionali non hanno modelli econometrici “tarati” sulla spesa pubblica italiana, in grado cioè di scomporla ed analizzarla in dettaglio. Ebbene se si leggono bene i numeri, riscontriamo che la spesa per le pensioni in Italia non è, come viene spesso affermato, pari al 18% del Pil. Se così fosse saremmo al di sopra della media europea del 15% attribuita ai 27 Paesi europei. In realtà nel 2016 la spesa pensionistica italiana vede una situazione di saldo positivo e non di deficit, e la percentuale corretta pensioni/Pil è del 13,5%». 

Per il presidente della Cida «la vera notizia, semmai, è che a pagare le tasse sulle pensioni, per il 90%, sono poco più del 38% dei 16,1 milioni di pensionati e di tale percentuale l’11% ne paga quasi la metà. Al contrario oltre il 51% dei pensionati sono totalmente o parzialmente assistiti dalla fiscalità generale. Non esito ad affermare che fra i pensionati che pagano regolarmente le tasse ci sono quadri, dirigenti pubblici e privati che dopo aver contribuito a coprire una quota importante dell’Irpef da lavoratori attivi, continuano, da pensionati, a versare al fisco una fetta importante dei loro redditi. Queste considerazioni, suffragate, dai numeri, dovrebbero anche essere sufficienti a sgomberare il campo dai velleitari annunci in tema di “pensioni d’oro”: un immaginario status di privilegiati (2.500, 3.000, 5.000 euro al mese? netti o lordi?) che rappresenterebbe un fiabesco tesoretto cui attingere risorse per dare la pensione a tutti, anche a chi di contributi non ne ha versati».