Chiuse le urne, agli italiani tocca una manovra di primavera da almeno 18,5 miliardi di euro

0
782

Secondo la Cgia chiunque andrà al governo del Paese dovrà agire per raddrizzare i conti pubblici palesemente sottostimati da Padoan & C.

Ad urne chiuse e a voti incassati, emerge la verità che i vari Padoan, Gentiloni e Renzi avevano tenuto nascosto agli italiani: entro la primavera sarà necessario raddrizzare i conti sballati dello Stato con un’ulteriore mazzata per le tasche dei contribuenti italiani.

Secondo i dati elaborati dall’Ufficio studi della Cgia, il nuovo Governo dovrà  predisporre entro la fine di quest’anno una manovra di bilancio aggiuntiva da almeno 18,5 miliardi di euro per evitare l’aumento dell’Iva, per correggere i nostri conti pubblici e per far fronte a uscite già impegnate. In particolare, bisognerà recuperare 12,4 miliardi per sterilizzare l’aumento dell’Iva, che diversamente scatterà dal 1 gennaio 2019, altri 3,5 miliardi che l’Unione europea ci sta per chiedere, al fine di  perseguire il pareggio di bilancio come previsto dal cosiddetto “Six pack” e, infine, ulteriori 2,6 miliardi per “coprire” una serie di spese non differibili.

«Purtroppo – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – l’entità di questa manovra stride in maniera evidente con le promesse elettorali avanzate nelle settimane scorse da coloro che oggi scalpitano per guidare il Paese. Dopo l’ubriacatura che abbiamo subito leggendo gli effetti positivi dovuti all’applicazione della “flat tax”, del reddito di cittadinanza o dalla cancellazione della legge Fornero, sarà interessante capire come, in pochi mesi, chi ci governerà recupererà oltre un punto di Pil».

La CGIA sottolinea che il peggioramento dello 0,4% del rapporto deficit/Pil, registrato nei giorni scorsi dall’Istat e ascrivibile al salvataggio pubblico delle due banche venete e del Monte dei Paschi di Siena, non ha alcun impatto sui conti pubblici degli anni a venire in quanto è una misura una tantum relativa al 2017.

Nel caso non si dovessero trovare 12,4 miliardi di euro, dal 1 gennaio 2019 l’aliquota Iva, attualmente al 10%, salirebbe all’11,5%;  quella del 22% schizzerebbe addirittura al 24,2%. Per quanto concerne gli impegni presi con Bruxelles, così come previsto dal “Six pack”, nel 2017, ci era stata chiesta una riduzione del rapporto deficit/Pil dello 0,5%. Alla luce degli eventi sismici che hanno colpito il Centro Italia e ai problemi legati ai flussi migratori provenienti dal Nord Africa, alla fine la Commissione Europea ha ridotto l’entità della richiesta allo 0,16% del Pil (manovra correttiva di giugno 2017 da 1,6 miliardi di euro). A consuntivo, tuttavia, sembrerebbe esserci uno scostamento di 0,5 punti percentuali rispetto alla correzione richiesta, anche perché è aumentata ancora la spesa pubblica sotto le impellenze elettorali della maggioranza uscita sconfitta. L’Unione europea starebbe per chiedere all’Italia una manovra correttiva da 3,5 miliardi di euro. Infine, entro la fine del 2018 bisognerà trovare circa 2 miliardi di euro per il rinnovo del contratto di lavoro degli statali, ulteriori 500 milioni di spese “indifferibili” e altri 140 milioni per evitare l’aumento delle accise sui carburanti a partire dal 1 gennaio 2019.

Tutti “ingredienti” che potrebbero ridurre la già ridotta – e prevista in ulteriore calo – crescita economica dell’Italia rispetto alla media degli altri paesi comunitari. Un modo per invertire la tendenza potrebbe essere, secondo la Cgia, il ritorno agli investimenti visto che negli ultimi 10 anni (2007-2017) il Paese ha registrato una caduta verticale di questi ultimi del 21%, specialmente sui processi di digitalizzazione del comparto produttivo, oltre che nella formazione e nella scuola, nei settori ad alta innovazione tecnologica e nella messa in sicurezza idrogeologica del Paese.

La riduzione degli investimenti pubblici avvenuti in questo ultimo decennio sono stati condizionati anche dai vincoli di bilancio imposti da Bruxelles. Secondo la Cgia esiste una regola aurea, ancora inutilizzata, che potrebbe consentire ai paesi membri di superare questo ostacolo. La “golden rule”, infatti, è una regola di bilancio di semplice enunciazione che, in estrema sintesi, consentirebbe solo agli investimenti pubblici in conto capitale di essere finanziati in disavanzo. Per fare questo, ovviamente, l’Italia avrebbe dovuto imporre nell’agenda europea questo argomento, trovare le alleanze e convincere coloro che la pensano diversamente di cambiare opinione, affinché questa opportunità diventasse parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. La partita rimane aperta e il prossimo Governo non potrà esimersi dall’affrontare anche questa questione.