Italian sounding: impatto da 90 miliardi di euro di mancato export

Presentati i risultati dell’Indagine 2018 di Assocamerestero. Le imitazioni dei nostri prodotti arrivano a costare nel Regno Unito fino al 69% in meno degli originali “Made in Italy”. 

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Il volume d’affari del cosiddetto Italian sounding, ovvero le imitazioni enogastronomiche proposte ai consumatori con un nome che evoca quello originale italiano, è di 90 miliardi di euro a livello globale, valore che negli ultimi dieci anni è cresciuto del 70%, e pari al triplo del fatturato dell’export italiano del settore alimentare (32,1 miliardi di euro nel 2017).

Assocamerestero – l’Associazione che riunisce le 78 Camere di commercio italiane all’estero (CCIE), soggetti imprenditoriali privati, esteri e di mercato, ad Unioncamere – ha presentato i risultati dell’indagine 2018 sui prodotti alimentari Italian sounding con focus in due aree, Europa e Nord America. Lo studio è inserito nell’ambito del Progetto “True Italian Taste”, promosso e finanziato dal ministero dello Sviluppo economico per la Campagna di promozione del cibo “100% Made in Italy”, e realizzato da Assocamerestero in collaborazione con 21 Camere di commercio italiane all’estero.

L’Italian sounding riguarda l’utilizzo improprio di nomi e immagini evocative del Belpaese per persuadere il consumatore ad acquistare prodotti in realtà non italiani. L’indagine di Assocamerestero di propone di analizzare le caratteristiche e le peculiarità del fenomeno, osservando diversi parametri – come la tipologia del prodotto, il canale di vendita, l’imballaggio – e valutare gli impatti sull’export dell’industria agroalimentare italiana.

Dal focus sulla tipologia dei prodotti emerge che per le due aree interessate la categoria più colpita dal fenomeno è quella della “confectionery”: il 42% dei prodotti “imitati” sono piatti pronti e surgelati, conserve e condimenti; seguono i latticini (25,1%), la pasta (16,1%), i prodotti a base di carne (13,2%) e i prodotti da forno (3,6%). I risultati cambiano se si analizzano separatamente le due aree: in Europa si registra per i prodotti della “confectionery” un livello di diffusione superiore alla media generale, mentre nell’area Nafta salgono al primo posto i latticini.

Tra gli oltre 800 prodotti Italian sounding mappati figura la “pizza carbonara” o la “mortadela Siciliana” rilevati in Spagna, mentre nell’area Nafta sono frequenti le storpiature come “sarvecchio” al posto di “stravecchio” o la “sopressata” che perde una “p”, infine, in Francia e Olanda, uno speciale Limoncello viene presentato come un liquore da aperitivo.

Per valutare gli impatti economici del fenomeno è stato elaborato un indice dei costi, che misura quanto i prezzi dei prodotti Italian sounding si distanziano da quelli corrispondenti del “Made in Italy” autentico. Nonostante i valori cambino in base allo Stato considerato e alla categoria di prodotto, risulta evidente che l’abbattimento di costo più forte si registra nel Regno Unito (- 69%), testa a testa con la Germania (- 68,5%) seguiti con risultati pressoché analoghi dal Belgio (-64,9%) e dall’Olanda (- 64,3%); ci si muove su tassi di risparmio più contenuti in Svizzera (- 33,9%) e in Lussemburgo (- 25%).

In alcune aree geografiche sono stati registrati dati fuori tendenza: alcune tipologie di prodotto possono arrivare a costare fino a due terzi in più degli originali. I latticini e prodotti-caseari d’imitazione italiana sono venduti in Francia e in Svizzera rispettivamente al 13,9% e al 34,5% in più rispetto all’originale. Relativamente al settore “confectionery”, è il Lussemburgo che registra valori anomali, con un aumento di prezzo del 18,3% rispetto al prodotto italiano; il ribasso più forte, invece, si ha in Spagna e Olanda. La Germania ha il primato per l’abbattimento dei costi maggiore per la pasta (-47,9%), e in disallineamento troviamo, ancora, la Svizzera e la Francia, che aumentano i prezzi del 33% e del 16,6%. Per i prodotti da forno in Spagna si paga fino al 10,7% in più rispetto al prodotto autentico, mentre in Francia i costi sono più bassi di oltre il 47%.

«L’analisi condotta dalle Camere italiane all’estero mostra un dato interessante: in alcune realtà e per alcuni prodotti, la scelta dell’Italian sounding rispetto all’originale italiano non è legata a questioni di costo, ma piuttosto a due fattori: la difficoltà a volte di reperimento del prodotto autentico e la scarsa conoscenza da parte del consumatore straniero delle caratteristiche e della qualità del vero Made in Italy – sottolinea Gian Domenico Auricchio, presidente di Assocamerestero –. Con il progetto “True Italian Taste” stiamo lavorando proprio per far sì che la scelta del prodotto autentico italiano passi attraverso l’esperienza della sua eccellenza, coinvolgendo in oltre 200 iniziative oltre 500.000 operatori dell’alimentare oltre agli appassionati del cibo dei mercati di primo riferimento per il nostro export dentro e fuori il continente europeo. È solo grazie alla diffusione della cultura e dell’educazione al consumo dei prodotti 100% italiani, e lavorando sulle alleanze che le CCIE stabiliscono con le comunità d’affari locali, che sarà possibile arginare il fenomeno dell’Italian sounding e recuperare le quote di mercato erose al nostro agroalimentare».