Infrastrutture il disastro Italia tra mancati controlli ed investimenti con il contagocce nella manutenzione

L’ennesimo crollo di un ponte a Genova rende necessaria una profonda rivisitazione sulla gestione delle infrastrutture strategiche del Paese. Ridefinire il ruolo dei concessionari privati che lucrano utili da capogiro. 

1222
Infrastrutture il disastro Italia

Infrastrutture il disastro Italia in fatto di reti strategiche. Quello di Genova è il quarto crollo nel giro di poco tempo che ha interessato un ponte, questa volta causando numerose vittime, oltre che pesanti ripercussioni sulla rete trasportistica locale e nazionale. Un disastro non dovuto solo all’imponderabilità degli eventi ma, piuttosto, dalla sottovalutazione degli allarmi lanciati da tempo e da investimenti in manutenzione ordinaria e straordinaria fatti con il contagocce a fronte di utili da capogiro da parte delle società concessionaria.

Un’Italia alle prese con una rete infrastrutturale sempre più deficitaria e laddove esistente a rischio di rottura, nonostante il fatto che siano fondamentali per un paese manifatturiero ed esportatore, dove il 90% delle merci e l’80% del traffico passeggeri viaggia su una rete stradale spesso concepita nella prima metà del secolo scorso, con standard e tecnologie oggi inadeguati per sopportare la mole di traffico e i requisiti di sicurezza. E il crollo del ponte Morandi (dal nome del suo progettista) a Genova sta lì a dimostrarlo in tutta la sua gravità.Infrastrutture il disastro Italia

Il Paese ha una disperata necessità d’investimenti sul miglioramento e sul potenziamento della propria rete infrastrutturale, stradale e ferroviaria. Fino ad oggi, hanno avuto la meglio i vari potentati economici e le lobby che girano attorno alle concessioni autostradali e ai grandi appalti per l’ammodernamento della rete ferroviaria, dove il costo chilometrico di costruzione è di 5-6 volte superiore alla media europea. Probabilmente è giunto il momento di fare una cesura con il passato, con la frettolosa ed improvvida privatizzazione fatta dal non dimenticato Romano Prodi, un personaggio il Mortadella che è riuscito a regalare per un pugno di lire autentiche galline dalle uova d’oro a privati “amici” gran parte delle concessioni autostradali. Dei 6.926 chilometri di rete autostradale attualmente in esercizio, la metà è gestita da Autostrade per l’Italia appartenente alla famiglia Benetton, il resto da altri gruppi privati come Gavio e Toto e da enti territoriali locali, come la Serravalle (regione Lombardia), Autovie Venete (Friuli Venezia Giulia e Veneto) o l’Autobrennero (Trentino Alto Adige). Tutti soggetti che macinano ogni anno utili da capogiro che vengono solo marginalmente reinvestiti nell’infrastruttura, mentre il resto viene dirottato in utili per gli azionisti o in avventure finanziarie.

Tipico è il caso di Autostrade per l’Italia dei Benetton: nel 2017 su 3,9 miliardi di ricavi, il margine lordo è stato di 2,4 miliardi con una fantastica redditività di circa il 50%, ma con investimenti in continuo calo: dai 232 milioni del primo semestre 2017 ai 197 di analogo periodo del 2018, meno del 10% degli utili registrati. Evidentemente, gli azionisti preferiscono interessarsi di altro, dall’acquisto della spagnola Abertis (che ha fatto di Atlantia – la holding Benetton proprietaria di Autostrade per l’Italia – il primo gruppo mondiale in fatto di chilometri di autostrada gestiti), società che in Italia si è aggiudicata la società Brescia-Padova ceduta da Banca Intesa con un comodo pagamento dilazionato, oppure all’aeroporto di Roma o a quello di Nizza o, ancora, ad una quota dell’Eurotunnel che unisce Francia e Inghilterra via ferrovia.Infrastrutture il disastro Italia

I Benetton non sono da soli. La famiglia Gavio ha realizzato il potenziamento dell’A4 tra Milano e Torino con molta calma a fronte di pedaggi pesantemente rincarati di anno in anno e di disservizi colossali per l’utenza. Ne vanno meglio i concessionari pubblici, come la regione Trentino Alto Adige proprietaria dell’Autobrennero – la cui concessione è ormai scaduta da ben 4 anni – che negli ultimi tre lustri ha investito sul potenziamento della ferrovia – ancora tutto da realizzare – invece che su quello autostradale, con il risultato che l’A22 si percorre alla stregua di una normale statale con incolonnamenti e rallentamenti quasi tutto l’anno. Un’arteria fondamentale per i collegamenti con l’Europa che è ancora a due sole corsie di marcia quando dovrebbe esser da anni a tre corsie, cosa invisa ai locali potentati politici di centro sinistra soprattutto per ragioni ideologiche.

Nell’emergenza di quanto accaduto a Genova, il ministro ai Trasporti e Infrastrutture, Danilo Toninelli, ha buttato lì la possibilità che lo Stato possa revocare le concessioni autostradali affidate ai privati e riportarle in capo all’Anas, anche per cancellare lo scandalo dei mega utili e delle manutenzioni sempre più scarse. Toninelli dovrebbe avere il coraggio di andare fino in fondo, sia per recuperare in capo allo Stato capacità decisionale e programmatoria in un ambito strategico per gli interessi nazionali, sia per evitare che i concessionari continuino a lucrare a spese dei cittadini e delle aziende, utilizzando parte degli utili per avviare un piano straordinario di ammodernamento di quanto esistente e di nuova infrastrutturazione e parte per tagliare i costi di pedaggio, ora decisamente cari. Può farlo iniziando dalle concessioni già ampiamente scadute, come quella di Autobrennero, per poi passare ai Benetton, ai Gavio e ai Toto. Lo aspettiamo alla prova dei fatti, per vendere se il cambiamento sempre annunciato dai pentastellati di governo questa volta c’è davvero.