Pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare: interviene il Parlamento europeo

In discussione la proposta di direttiva della Commissione. Scordamaglia (Federalimentare): «bene una regolamentazione comune, ma se una pratica è scorretta, lo deve essere per tutti i soggetti della filiera». 

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Le pratiche commerciali sleali specie nella filiera alimentare sono sempre più diffuse e a farne le spese, oltre ai consumatori, sono gli anelli deboli della catena, quasi sempre i produttori dei beni che sono posti in vendita. Per limitare questo andazzo dove emergono scandali come le aste al doppio ribasso utilizzate da qualche grande catena distributiva specie di discount, scende in campo la Commissione europea che ha proposto una proposta di direttiva comunitaria che ora va in discussione al Parlamento.

Sulla questione interviene Federalimentare, a favore della proposta, ma anche con alcuni suggerimenti migliorativi per evitare che ci siano dei “buchi” nell’assetto normativo che si va a creare. «Contro le pratiche commerciali sleali da anni chiediamo una presa di posizione comunitaria e adesso, finalmente, abbiamo sul tavolo europeo una proposta di direttiva che chiediamo venga approvata entro il mandato attuale» sottolinea Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, che ricorda anche le pratiche commerciali sleali più frequenti: «pagamenti ritardati di mesi a fornitori di prodotti alimentari deperibili, cancellazione di ordini all’ultimo momento, azioni promozionali che scaricano i costi sugli agricoltori».

Anche se si tratta di «un passo in avanti per tutelare a livello comunitario le nostre aziende», Scordamaglia sottolinea come Federalimentare non sia completamente soddisfatta, in quanto «non solo restano escluse le aste al doppio ribasso, ma che soprattutto la proposta prenderebbe in considerazione solo le Pmi. Se una pratica commerciale è sleale – ribadisce Scordamaglia – lo è a prescindere dalle loro dimensioni. Nessuno in nessuna fase della filiera deve poter usare pratiche scorrette e questo deve essere chiaramente stabilito».

La situazione in Italia non è del tutto negativa: «molte delle catene distributive operanti nel nostro Paese basano i loro rapporti su una sana competizione e, sempre più, su rapporti e valori di filiera condivisi – dice Scordamaglia – Ma le situazioni “patologiche” devono invece essere risolte con interventi normativi chiari e decisi, considerando che le regole nazionali finora previste in Italia non hanno funzionato adeguatamente».