Olio extravergine italiano: crolla la produzione 2018

Il dato fornito da Coldiretti sulle prime stime del raccolto causa l’andamento meteorologico. Grazie all’abbattimento dei dazi, triplicato l’import di olio dalla Tunisia. 

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Anno horribilis per l’olio italiano con il crollo del 38% della produzione di olio di oliva che scende ad appena 265 milioni di chili, un valore vicino ai minimi storici. È quanto afferma la Coldiretti nel commentare le previsioni divulgate dall’Ismea per l’Italia alla Giornata nazionale dell’extravergine italiano.

A pesare sono stati il gelo invernale di Burian e i venti accompagnati dalla pioggia durante la fioritura che hanno ridimensionato pesantemente i raccolti anche se le previsioni classificano l’Italia come secondo produttore mondiale nel2018/19. La Puglia si conferma essere la principale regione di produzione, con 87 milioni di chili, nonostante il calo del 58%, mentre al secondo posto si trova la Calabria, con 47 milioni di chili e una riduzione del 34%, e sul gradino più basso del podio c’è la Sicilia dove il taglio è del 25%, per una produzione di 39 milioni di chili; in Campania il raccolto è di 11,5 milioni di chili, in riduzione del 30%. Al centro diminuisce a 11,6 milioni di chili la produzione in Abruzzo (-20%) e a 14,9 milioni di chili nel Lazio(-20%), mentre aumenta a 17,8 milioni di chili in Toscana (+15%) come nel Nord dove complessivamente si registra un aumento medio del 30%, che spazia dal +10% del Trentino al +40% del Veneto, alla stazionarietà del Friuli Venezia Giulia e al calo del 10% dell’Emilia Romagna.

Un andamento che – stima la Coldiretti – si riflette sulla produzione a livello mondiale dove si prevede un forte calo dell’8% dei raccolti per una previsione di poco più di 3 miliardi di chili. Ad influire è anche il crollo della produzione pure in Grecia con circa 240 milioni di chili (-31%) e in Tunisia dove non si dovrebbero superare i 120 milioni di chili (-57%) mentre in Portogallo è praticamente stabile a 130 milioni di chili. In controtendenza la Spagna che si conferma leader mondiale, dove si stimano circa 1,5-1,6 miliardi di chili con un aumento del 23%, oltre la metà della produzione mondiale.

A pesare in Italia è stata l’ondata di maltempo del 2018 con almeno 25 milioni di piante di ulivo danneggiate dalla Puglia all’Umbria, dall’Abruzzo sino al Lazio con danni fino al 60% in alcune zone particolarmente vocate e la richiesta di rifinanziamento del piano olivicolo nazionale (Pon) da parte dell’Unaprol. Un’esigenza per recuperare il deficit italiano con il piano che prevededi aumentare nei prossimi 4 anni la superficie coltivata da poco più di un milione di ettari a 1,8 milioni di ettari, anche con l’incremento delle aree irrigue con tecniche innovative di risparmio idrico. Si tratta di potenziare una filiera che coinvolge oltre 400.000 aziende agricole specializzate in Italia e che – sostiene la Coldiretti – può contare sul maggior numero di olioextravergine a denominazione in Europa (43 DOP e 4 IGP) con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo.

Il calo della produzione nazionale apre la porta a sempre più massicce importazioni da altri paesi, con la Tunisia in testa. Nel corso del 2018 le importazioni sono cresciute del 199% rispetto allo scorso anno. «L’Unione Europea – sottolinea la Coldiretti – deve respingere al mittente la richiesta del Governo di Tunisi di rinnovare la concessione temporanea di contingentid’esportazione di olio d’oliva a dazio zero verso l’Ue per 35.000 tonnellate all’anno scaduta il 31 dicembre 2017, oltre alle 56.700 tonnellate previste dall’accordo di associazione Ue-Tunisia (in vigore dal 1998)».

Secondo la Coldiretti «è evidente il rischio della destabilizzazione del mercato con gli arrivi di olio tunisino in Italia che sono quasi triplicati nel 2018, sulla base dei dati Istat relativi al primo semestre che attestano l’importazione di 35,9 milioni di chili. Si tratta di produzioni di bassa qualità svendute a prezzi insostenibili, ma commercializzate dalle multinazionali sotto la copertura di marchi nazionali ceduti all’estero per dare una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati, a danno dei produttori e dei consumatori».

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