Il 2018 per la ceramica italiana si chiude con produzione, vendite ed export in calo

Inversione di tendenza dopo cinque anni di crescita continua. Proseguire con la la realizzazione delle infrastrutture al servizio del distretto.

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piastrelle di ceramica italiana

Il 2018 per l’industria della ceramica italiana ed in particolare per il distretto emiliano chiude con una battura d’arresto di produzione, vendite ed export, dopo un quinquennio di continua crescita. La flessione, sebbene contenuta in pochi punti percentuali, ha spinto alcune aziende ad allungare la tradizionale fermata produttiva natalizia media di un paio di settimane, con l’obiettivo di evitare un accumulo eccessivo di scorte.

L’analisi di BPER Banca sui bilanci del settore delle piastrelle di ceramica, fotografati nel triennio 2015 – 2017, evidenzia una situazione di crescita del fatturato di settore del 7% nel periodo preso in esame, con l’80% delle aziende che chiudono il bilancio in attivo. Di rilievo ricordare, come dal 2009, tutti gli investimenti in immobilizzazioni materiali sono stati finanziati con i flussi di cassa derivanti dalla gestione corrente, una situazione che ha consentito di salvaguardare l’elevata capitalizzazione del settore: nel 2017 il rapporto tra la posizione finanziaria netta ed il patrimonio netto è pari al 18%, con limitate variazioni tra le aziende aventi diversa dimensione.

Il preconsuntivo 2018 della ceramica italiana elaborato da Prometeia sui dati di settore evidenzia per l’industria delle piastrelle di ceramica volumi di produzione e vendite intorno ai 410 milioni di metri quadrati, derivanti da esportazioni nell’ordine di 328 milioni di metri quadratie vendite sul mercato domestico per 82 milioni di metri quadrati. La flessione, limitata ad alcuni punti percentuali, riguarda diversi mercati ed aree di destinazione. Con l’obiettivo di evitare un eccessivo stoccaggio di prodotto finito, il tradizionale periodo di fermo produttivo, in occasione delle vacanze di fine anno, è stato allungato di un paio di settimane, nella media del settore.

«Il commercio internazionale di tutti i settori risente delle crescenti tensioni commerciali a livello mondiale, ed in particolare tra Stati Uniti e Cina, che generano incertezza presso consumatore ed operatori professionali – afferma Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica -. Recenti analisi dimostrano che i Paesi che soffrono maggiormente di questa situazione sono i forti esportatori e quelli dall’elevato debito pubblico, condizioni entrambe che interessano l’Italia. A questo si aggiunge il fatto che diversi paesi concorrenti possono contare su un costo del lavoro e dell’energia particolarmente ridotto, rispetto a quello italiano, e con un sistema di infrastrutture – viarie e portuali – nettamente migliore rispetto al nostro. E’ importante che, in tal senso, si proceda nella realizzazione di tutte le infrastrutture al servizio dei distretti emiliano romagnoli della ceramica, per recuperare competitività».

Anche nel corso del 2018 sono proseguiti gli investimenti tecnologici delle aziende nel solco di Industria 4.0, su valori leggermente inferiori rispetto al 2017, ma con incidenze sul fatturato ai livelli più alti tra i settori manifatturieri italiani. «Questo ci consente di avere una dotazione impiantistica di prim’ordine, a partire dalle lastre ceramiche di grandi dimensioni, di cui l’Italia detiene la primazia a livello mondiale – dice Savorani -. In attesa che vengano definite le misure cardine della Legge di Bilancio 2019, osserviamo con attenzione la discussione sul bonus formazione collegato ad Industria 4.0, una misura che riveste particolare interesse per il nostro settore che ha investito molto in questi anni. Si tratta di una misura giusta, che punta a formare al meglio le competenze delle nostre maestranze, che rappresentano uno degli aspetti competitivi più importanti e centrali. L’Associazione sta peraltro concludendo un approfondito studio sulle competenze necessarie tra 3/5 anni nelle aziende ceramiche, una analisi necessaria anche per orientare i percorsi formativi in modo da ridurre il più possibile la distanza tra la scuola ed il mondo del lavoro».

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