Il boom economico di Giggino Di Maio porta la recessione

Il vicepremier da Pomigliano è nel mondo dei sogni e non s’accorge che la realtà è ben diversa da quella che si sforza di raccontare ogni giorno. Sono ancora in tempo ad invertire la rotta, spostando le poche risorse prese a debito dall’assistenzialismo agli investimenti e al rilancio dell’economia. 

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La platea dei consulenti del lavoro l’altro giorno non credeva a cosa stava sentendo, con un vicepremier e bis ministro allo Sviluppo economico e al Lavoro, tal Luigi Di Maio da Pomigliano d’Arco, già garzone alle partite dello stadio San Paolo a Napoli, affermare senza sprezzo del ridicolo che la pesante crisi industriale appena certificata dall’Istat «è un crollo europeo» e che a breve, piuttosto di un’imminente recessione, «potrebbe addirittura esserci un nuovo boom economico: come negli anni 60 abbiamo costruito le autostrade, ora possiamo costruire le autostrade digitali».

Mentre in un crescendo di phatos il Giggino nazionale se la suonava e se la cantava, i più chiedevano di portare il vicepremier bis ministro con i piedi ben piantati sul pianeta Terra, svegliandolo dal sogno in corso.

Comunque, bisogna in parte capirlo il Giggino nazionale che cerca di riscaldare i cuori dopo la gelata dei numeri che parlano di un calo del 2,6% su base annua e del 1,6 su base mensile, soprattutto a pochi giorni dal lancio del suo più grande risultato, il reddito e le pensionidi cittadinanza, che andranno in gran parte a immigrati vari e zingari, con buona pace dei veri bisognosi italiani. Un’operazionedisperata di uscire dalla tenaglia della realtà che mostra conti pubblici allo sbando, di deficit pubblico in crescita, di Pil in calo, di tasse in crescita. Forse nei grigi meandri del cervello del vicepremier pentastellato c’è il tentativo di giocare la mossa del cavallo, anche se il non probabile salvataggio suo e della sua allegra combriccola porta con sé il disastro per tutti gli altri italiani.

Ma ad allibire i consulenti del lavoro, gente solitamente concreta, non c’è stato solo il vicepremier bis ministro: ci ha messo del suo pure il premier Giuseppe Conte, affermando che il suo Esecutivo ha «anticipato e compreso prima l’evoluzione del trend» sfornando a tal bisogna «una manovra nel segno della crescita e dello sviluppo sociale» basata su due pilastri come quota 100 e reddito: «stimoliamoun ricambio generazionale e diamo vita alla più decisa e coraggiosa politica attiva per l’occupazione degli ultimi anni. Si tratta, per noi, di un manifesto politico». Sarà pure un manifesto politico, ma rischia di essere scritto con l’inchiostro simpatico su una carta della consistenza di quella igienica, visto che se la recessione tornerà a fare capolino sul Belpaese prima ancora che questo si sia risollevato da quella, pesantissima, del 2008, le imprese più che assumere «3 giovani per ogni pensionato di quota 100» penseranno più ad abbattere i costi fissi (ovvero ridurre il personale con tutti i modi possibili) per cercare di tenere il più possibile i conti in ordine dinanzi ad ordinativi i calo.

Per fare tornare i governanti del Sogno sul pianeta Terra basterà attendere ancora pochi giorni, visto che a fine gennaio è atteso il dato finale sul Pil del IV trimestre 2018. Se sarà negativo come tutte le previsioni danno per più che probabile, questo sarà il secondo trimestre consecutivo a chiudere in negativo, aprendo così le porte alla recessione in modo ufficiale e conclamato. E le conseguenzesaranno i conti pubblici che andranno a picco, con il debito pubblico pronto ad esplodere.

Mentre Di Maio si balocca con un «probabile boom economico» scoppiato solo nel suo ego, famiglie ed imprese devono intanto confrontarsi con le mancate promesse del governo del cambiamento che ha proseguito nel solco di quelli passati, incrementando le tasse per il 2019 di ben 24 miliardi di euro, cui s’aggiungeranno nel 2020 altri 23 miliardi derivanti dall’aumento dell’Iva dal 10 al 13% e dal 22 al 25,2%. Aumenti che deprimeranno ulteriormente i consumi soprattutto delle famiglie, che comporteranno meno crescita del Pile, conseguentemente, meno gettito fiscale ed incremento ulteriore del debito pubblico. Non solo: se l’Italia andrà in recessione, con la crescita del debito pubblico aumenterà anche il differenziale sui tassi d’interesse, incrementando così la montagna del debito. Sempre che l’Italietta non finisca a fondo grazie all’ardore della trimurti di comando Conte-Salvini-Di Maio.

Che fare? Una cosetta si potrebbe mettere in campo, ma ciò comporta un gesto autolesionistico da parte degli ardimentosi governanti che stanno portando il Paese dritto a sbattere. Potrebbero utilizzare i soldi stanziati per reddito di cittadinanza e quota 100 delle pensioniper attuare subito una vera politica anticiclica buona per realizzare veri posti di lavoro e sviluppo dell’economia, investendoli partenel rilancio dell’infrastrutturazione del Paese, sia nelle tanto care autostrade digitali che in quelle fatte di cemento e di asfalto (oltre che sulle ferrovie), parte nel taglio reale delle tasse gravanti su famiglie ed imprese, tale da consentire a chi produce reddito di continuare a farlo senza essere definitivamente asfissiato. Rimandando la spesa clientelare ed elettoralistica a tempi migliori. Probabilmente una manovra d’emergenza come questa non basterà ad invertire la tendenza, ma potrebbe consentire di ridurre la violenza e i danni della recessione economica. E, francamente, tra un comportamento tafazziano a danno di tutti gli italiani e quello a danno di un manipolo di governanti sgrarruppati, è decisamente preferibile il danno per pochi che a quello di molti.

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