L’economia italiana rallenta e con essa l’inflazione

Prezzi sempre più freddi e ordinativi alla produzione in calo. Nonostante le assicurazioni del Governo Conte, l’andamento dell’economia nazionale spalanca le porte ad una manovra di primavera di almeno 10 miliardi di euro.

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Il 2019 si apre con un’inflazione in rallentamento e che accentua i segnali di debolezza dell’ultima parte del 2018, scendendo sotto il punto percentuale, evidenziando come l’economia italiana stia frenando con decisione e famiglie ed imprese stiano rallentando gli acquisti e i consumi, passando ad una fase di tesaurizzazione per affrontare al meglio un periodo che si preannuncia sicuramente non bello, così come ben lontano da quell’annunciato boom economico di solo poche settimane fa.

Dopo sei mesi nei quali era stata più elevata di quella dei servizi, a gennaio 2019, a causa principalmente della frenata dei prezzi dei carburanti, la crescita dei prezzi dei beni si porta al di sotto di quella dei servizi e del paniere nel suo complesso, così come arretraquella dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto. In questo quadro, nonostante l’accelerazione dei prezzi degli alimentari non lavorati e grazie al rallentamento di quelli degli alimentari lavorati, l’indice dei prezzi dei prodotti di largo consumo, seppur di poco, mitiga anch’esso la sua pressione sul potere d’acquisto delle famiglie.

Secondo la rilevazione Istat, nel mese di gennaio 2019, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, è cresciuto dello 0,1% rispetto al mese precedente e dello 0,9% su base annua (da +1,1% registrato nel mese precedente), confermando la stima preliminare. Il rallentamento dell’inflazione a gennaio è imputabile prevalentemente alla decelerazione dei prezzi dei Beni energetici sia nella componente regolamentata (da +10,7% di dicembre a +7,9%) sia in quella non regolamentata (da +2,6% a +0,3%); tale dinamica è stata in parte mitigata dall’accelerazione dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (che passano da +0,6% a +2,2%) e in misura minore dei Beni alimentari non lavorati (da +1,3% a +1,7%).

L’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, decelera da +0,6% registrato nel mese precedente a +0,5%, mentre quella al netto dei soli beni energetici rimane stabile a +0,6%.

Il lieve aumento su base congiunturale dell’indice generale (+0,1%) è dovuto principalmente alla crescita dei prezzi dei Beni energetici regolamentati (+1,6%) e dei Beni alimentari sia lavorati (+0,8%) sia non lavorati (+1,2%), quasi del tutto bilanciata dal calo dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (-1,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (-1,5%), quest’ultimo per lo più dovuto a fattori di carattere stagionale.

Rispetto a gennaio 2018, l’inflazione rallenta in modo marcato per i beni (da +1,2% a +0,7%), mentre i servizi rimangono stabili a +1,1%; rispetto al mese di dicembre il differenziale inflazionistico tra servizi e beni diventa positivo e pari a +0,4 punti percentuali (era -0,1 punti percentuali nel mese precedente). L’inflazione acquisita per il 2019 è +0,1% per l’indice generale e -0,3% per la componente di fondo.

Rallenta la crescita dei prezzi dei prodotti di largo consumo: per i Beni alimentari, per la cura della casa e della persona passa da +0,7% a +0,6%, per i prodotti ad alta frequenza d’acquisto da +1,2% a +0,8% (portandosi anch’essa al di sotto dell’inflazione generale).

Di fatto, il risultato di gennaio evidenzia come il rallentamento dell’economia italiana iniziato nell’ultimo trimestre 2018 si stia ripercuotendo anche nel 2019, con la possibilità che la sostanziale stagnazione economica possa amplificarsi trasformandosi in autentica recessione. Nonostante le riassicurazioni del Governo Conte, la situazione economica del Paese non è affatto positiva, con l’equilibrio dei conti pubblici difficilmente raggiunto nella manovra di bilancio 2019 che è sostanzialmente già saltato, con la quasi certezza di dovere mettere mano ad una manovra di bilancio primaverile di 8-10 miliardi di euro per evitare di peggiorare la situazione, cui s’aggiungono i circa 23 miliardi di euro necessari per disinnescare la clausola di salvaguardia per evitare l’aumento, dal 1 gennaio 2020, dell’Iva dal 22 al 25,6% e dal 10 al 13%. Che, se scattasse, deprimerebbe ancora di più i consumi interni, già debolissimi come dimostra il dato dell’inflazione sempre più fredda. Mandando definitivamente in crisi l’economia italiana.

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