Verso quale Europa con il rinnovo del Parlamento europeo?

Alcune riflessioni in vista delle elezioni del 26 maggio.  Di Paolo Farinati 

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Tra circa un mese saremo chiamati a votare per il Parlamento europeo, ovvero coloro che democraticamente eletti andranno ad occupare il consesso più importante per i 600 milioni di abitanti dell’Unione Europea, oggi composta da 28 Paesi. E’ un passaggio che certamente entrerà nella storia di tutti noi.

In gioco ci sono visioni liberamente diverse del futuro di gran parte del Vecchio Continente. La vera distinzione è tra chi crede ancora nei valori fondanti l’Unione fin dal Trattato di Roma del 25 marzo 1957 (CEE), poi suggellati dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 (UE) e chi quei valori li vede drasticamente vecchi e in modo populista promette un domani carico di egoistici nazionalismi.

I valori alla base dell’UE si nutrono di una visione di sviluppo e di benessere complessivi dell’Europa, fatta di condivisione, di cultura, di equità economica e sociale, di cooperazione, di sicurezza, di competitività, di solidarietà, di sussidiarietà, di pace. In sintesi, un’Unione di più Stati e popoli, tra loro anche assai diversi, ma accomunati da una ferma volontà di prosperità continentale e non solo. Un soggetto economicamente e culturalmente forte e capace di ergersi a baluardo contro ogni violenza e ingiustizia anche a livello mondiale.

Non sempre la politica comunitaria in questi decenni è stata capace di rimanere fedele a questi sani principi posti alla base dell’Unione. Prova concreta ne è, ad esempio, il come si è affrontata la grave crisi finanziaria prima e dopo anche economica del 2007 e 2008. Negli Stati Uniti, da dove la crisi è partita, la presidenza Obama ha saputo reagire con decisione e prontezza secondo la lezione keynesiana: le banche in default sono state acquistate dallo Stato, risanate e poi rivendute risanate. Nel mentre, la Federal Reserve iniettava, e lo ha fatto anche dopo per vari anni, la necessaria liquidità nel sistema economico e verso le famiglie, per opporsi alla crisi profonda attraverso le leve degli investimenti e dei consumi. Gli USA, in tal modo, hanno ottenuto un egregio livello di crescita del loro PIL, mantenendo bassa la disoccupazione e garantendo un reddito pro-capite attorno ai 60.000 dollari all’annoai suoi quasi 300 milioni di abitanti.

L’Unione Europea come ha reagito e operato innanzi alla crisi? In modo decisamente diverso. Col senno del poi, è certamente facile dirlo, ma è davanti ai nostri occhi il fatto che economicamente si è persa buona parte della capacità di crescita dell’intera area, assicurando anche oggi ai 600 milioni di abitanti della UE un PIL pro-capite di soli 30.000 euro. Come non citare qui Jacques Delors, carismatico presidente della Commissione Europea per ben tre mandati dal 1985 al 1995, che pose con fermezza l’obiettivo di escludere gli investimenti da ogni patto finanziario tra gli Stati membri. Garantendo così nuova ricchezza ed elevata occupazione all’Unione, il tutto senza rischio di possibile inflazione.

Dopo di lui, la politica europea cambiò filosofia. In poche parole si è adottata una politica restrittiva, soprattutto in termini monetari, che ha ridotto gli investimenti. Si è sposato un “patto di stabilità” che ha certamente frenato, seppur in maniera non omogenea, la crescita dell’occupazione. Di conseguenza si è visibilmente ampliata la forbice sociale tra chi più ha e chi meno ha. Da qui è partito un sentimento anti Unione Europea in buona parte comprensibile, che in certi casi però è divenuto odio ingiustificato e violenza da condannare.

Il rischio insito nel voto del 26 maggio è la frantumazione di un progetto di Unione Europea che non ha accontentato i sogni di vita di tutti i suoi popoli. Come reagire? Quale proposta concreta per rilanciare un’Unione di cui anche il mondo intero ha fermamente bisogno?

Innanzitutto, ricordandoci sempre che l’Unione Europea, nelle sue forme progressive, ha sin qui garantito sui propri territori quasi 75 anni di pace. Questo è un patrimonio umano inestimabile e un’eredità preziosa da lasciare alle future generazioni.

Credo che la partita la si può e la si deve vincere sul piano economico e sociale. Si deve e si dovrà mettere il lavoro, che per ogni persona è sinonimo di dignità e di libertà, al primo punto di ogni agenda politica europea. A qualsiasi livello istituzionale. Leggo e sento di provvedimenti di fantapolitica per favorire l’occupazione, soprattutto in Italia, oggigiorno governata da coalizioni litigiose e quindi assai fragili e poco credibili. Lo stesso popolarismo europeo, che da anni governa la nostra UE portandola al rigorismo e alla regressione, spesso vota al Parlamento europeo assieme alle forze più reazionarie, tradendo, lo voglio scrivere, il giusto verbo sia di don Sturzo che di Alcide Degasperi, sempre attenti ad uno sviluppo che privilegi i bisogni di tutte le persone. Accanto a loro voglio citare pure Norberto Bobbio, quando ci ricorda che “la democrazia e la libertà non si conquistano una volta per sempre, ma vanno curate e protette ogni giorno”.

Senza alcuna enfasi, il prossimo 26 maggio c’è in gioco la sopravvivenza dell’Unione Europea. Mi auguro che i cittadini europei vadano in tanti a votare. Auspico che vincano le forze politiche più aperte e realmente riformatrici. Accanto ai valori di libertà, di democrazia e di pace propri del nostro 25 aprile, vi è bisogno di rimettere in campo la forza e il coraggio propri del 1 Maggio, Festa del Lavoro e dei lavoratori in tutto il mondo. Per dare e ridare dignità e felicità a tutti, giovani e meno giovani, senza alcuna distinzione etnica e religiosa.

Crediamoci. Il vero obiettivo dell’Unione Europea è quello di garantire ad ogni suo cittadino la liberazione da ogni paura, sopruso e povertà. L’Europa è gioia e pace.

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