L’impresa Bugno vince al Consiglio di Stato contro la Soprintendenza

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La sesta sezione del Consiglio di Stato, presieduta dal giudice Sergio De Felice, ha respinto il ricorso del Ministero per i beni e le attività culturali contro la decisione del Tar Veneto che dava ragione all’impresa Bugno Luciano S.r.l. ed al Comune di Vigonza. L’impresa Bugno Luciano, in concordato dal 2013, è stata assistita dall’avvocato Antonio Sartori con l’avvocato romano Stefano Gattamelata, mentre il Comune di Vigonza è stato difeso dagli avvocati Giangiuseppe Baj e Andrea Manzi.

Nel 2013 il TAR Veneto si era espresso sul diniego di autorizzazione del progetto di ammodernamento per l’impianto di recupero rifiuti di Vigonza, richiesto dall’impresa Bugno Luciano S.r.l.. L’impianto, autorizzato nel 2002 e potenziato negli anni successivi, si trovava all’interno dell’area vincolata del Graticolato Romano.

La Provincia di Padova aveva respinto l’istanza di revamping dell’impianto riguardante “la tipologia di rifiuti da trattare, lo stoccaggio di rifiuti da conferire ad altri impianti e l’installazione di un nuovo impianto per la produzione di altre tipologie di materie prime secondarie”, basandosi sui pareri ostativi espressi dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, secondo cui l’attività sin dall’origine “doveva considerarsi priva della necessaria autorizzazione paesaggistica e non erano state efficacemente ottemperate le prescrizioni, contenute nelle autorizzazioni del 2002 e del 2007, di realizzare una completa schermatura lungo il perimetro dell’impianto con un filare di alberi, in quanto il fabbricato autorizzato risultava ancora in parte visibile”.

Il Tar Veneto, chiamato a pronunciarsi contro il provvedimento di diniego del revamping, aveva accolto il ricorso ritenendo fondate le doglianze della società ricorrente: nel 2002 in occasione del rilascio dell’autorizzazione provinciale alla realizzazione dell’impianto, “la Provincia si era ritenuta competente anche a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica – si legge in sentenza – determinandosi in tal modo perché, nell’apposita conferenza di servizi, era presente anche il Comune, e ritenendo quindi che la procedura indetta ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica potesse assorbire anche il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, per la quale era ordinariamente competente il Comune”. Inoltre la Soprintendenza, dopo aver ricevuto l’autorizzazione unica provinciale non l’aveva annullata, infatti – continua la sentenza – “la consumazione del potere soprintendentizio in relazione all’autorizzazione originaria era, peraltro, desumibile anche da una serie di circostanze sopravvenute, dalle quali emergeva un comportamento concludente della stessa Soprintendenza che, in modo non equivoco, lasciavano desumere che essa stessa avesse considerato esistente l’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione dell’impianto”.

Il Ministero per i beni e le attività culturali aveva impugnato la decisione di primo grado, chiedendo la sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza e la sua riforma.

Il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata lo scorso 30 luglio, ha confermato la decisione del TAR Veneto per le due principali ragioni. La prima riguarda il fatto che, secondo il regime all’epoca in vigore, l’autorizzazione unica rilasciata dalla Provincia di Padova all’esito della conferenza di servizi con il coinvolgimento del Comune, aveva portato all’assorbimento dell’autorizzazione paesaggistica nel provvedimento finale. Inoltre la trasmissione del decreto autorizzatorio alla Soprintendenza, aveva investivo quest’ultima dell’esercizio del potere di cogestione del vincolo paesaggistico, potere che non era stato esercitato entro il termine di legge. La seconda ragione accertata dal TAR Veneto, riguarda la natura concludente del comportamento della Soprintendenza che nel decennio successivo all’autorizzazione, “avendo la stessa riscontrato positivamente l’autorizzazione comunale rilasciata sotto il profilo paesaggistico, aveva accertato la compatibilità con gli aspetti ambientali e paesaggistici che l’area vincolata riveste, in sede di sanatoria di alcune modifiche interne e prospettiche effettuate sull’edificio produttivo dell’impianto”.

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