Un corso di laurea in medicina a Trento per combattere la carenza di medici in Trentino Alto Adige

L’università di Padova ha presentato il progetto alla giunta provinciale trentina. Prevista l’attivazione congiunta sia di un corso di laurea che di specializzazione post laurea. 

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laurea in medicina a Trento
Il preside della Facoltà di medicina dell'Università di Padova, Stefano Merigliano, presenta il progetto alla giunta provinciale di Trento.

Per combattere la carenza di medici presso le strutture sanitarie del Trentino (ma il problema riguarda anche l’Alto Adige e, più in generale, tutte le località di montagna come il Bellunese), la giunta provinciale di Trento punta alla creazione di un corso di laurea in medicina a Trento con annessa scuola di specializzazione postlaurea in collaborazione con l’Università di Padova che, in quanto già autorizzata dal ministero, potrebbe far decollare l’iniziativa senza ulteriori pastoie burocratiche ed autorizzative già dall’anno accademico 2020/’21.

Il progetto è stato illustrato alla giunta provinciale dal preside della Facoltà di Medicina di Padova, Stefano Merigliano, mentre il rettore Rosario Rizzuto che avrebbe pure lui dovuto partecipare all’incontro è incappato in un incidente sugli sci ad Andalo, costringendolo ad un ricovero presso l’ospedale di Trento.

Il progetto presentato dall’ateneo patavino prevede l’attivazione del primo e il quinto anno di corso di laurea in medicina a Trento, e quest’ultimo verrebbe avviato attraverso il coinvolgimento – su base volontaria – degli universitari trentini e altoatesini che al momento studiano Medicina a Padova o a Verona (circa un centinaio).

Per quanto riguarda le competenze, l’Università di Trento gestirebbe il coordinamento logistico generale, il diritto allo studio e i corsi dei settori Biologia e Fisica, con il coinvolgimento della Fondazione Kessler e del Cibio, e che sarebbero una decina in totale; alle aziende ospedaliere, a partire dall’Apss, la didattica clinica e i tirocini con il progressivo coinvolgimento del personale medico. All’Università di Padova spetterebbero la gestione del corso di laurea con prevalente attribuzione dei corsi del settore Medicina, i tirocini ed il coordinamento con le aziende ospedaliere. L’ateneo di Verona, infine, gestirebbe i corsi in scienze infermieristiche e delle altre professioni sanitarie, come già avviene oggi.

Secondo Merigliano, la sola istituzione di un corso di laurea in medicina a Trento non è sufficiente a garantire il raggiungimento del risultato: è necessario creare sinergie fra gli attori territoriali, oltre ad alleanze con possibili partner esterni. Anche perché il problemadella sanità italiana non riguarda il numero di medici sfornati dai corsi universitari, ma quelli che terminano i corsi di specializzazione post laurea, per i quali c’è una storica carenza di borse di studio che e finanziano l’accesso. Più che formare nuovi medici, l’emergenza è la formazione di medici specializzati.

«Il tema è anche partire subito – ha sottolineato Fugatti – in modo tale da dare al trentino risposte concrete nel più breve tempo possibile».

Per quanto riguarda le modalità di applicazione, il progetto prevede da un lato l’avvio dal ottobre 2020 di un corso di laurea dal primo anno come duplicato di quello di Padova con docenti e risorse di Trento e Padova, e contemporaneamente l’attivazione, sempre da quella data, di corsi di laurea dal quinto anno con studenti volontari in corso a Padova (ci sono attualmente un centinaio di studenti di Medicina trentini e altoatesini che studiano a Padova, di cui 40 al quarto anno, e ad essi potrebbero aggiungersi altri studenti che attualmente frequentano a Verona). Essendo Padova capofila del progetto, non sarebbe necessario l’ottenimento di alcun via libera ministeriale.

Per quanto riguarda le scuole di specializzazione, quelle già attive in Trentino rimarrebbero e ad esse potrebbero esserne affiancate quelle specifiche per il settore medico. La Rete formativa del Veneto dal canto suo si sta allargando, facendo perno su Verona e Padova. Ogni formando deve fare un 20% del suo percorso formativo al di fuori della “casa madre”, il che favorisce le sinergie e gli scambi. L’ospedale trentino potrebbe essere inserito a sua volta nella rete assurgendo al ruolo di ospedale universitario.

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