Fondo nazionale per l’innovazione, una “leva” per il rilancio dell’economia innovativa italiana

Manzella: «il Fondo è operativo e ci attendiamo un notevole impulso alla crescita delle nuove tecnologie per portare l’Italia allo stesso livello dei paesi più avanzati». 

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Fondo nazionale per l’innovazione
Il sottosegretario al Mise, Gian Paolo Manzella.

In epoca di crisi economica causata dalla pandemia da Coronavirus, dove il Pil italiano è atteso nel 2020 ad uno storico crollo (variabile, a seconda delle varie previsioni dal 9% all’11%), le nuove tecnologie e le nuova iniziative imprenditoriali potrebbero fungere da interessante sviluppo per la crescita del Paese, anche in considerazione che il Fondo nazionale per l’innovazione è finalmente pronto per svolgere appieno la sua funzione di supporto e sviluppo delle nuove iniziative grazie alla sua dotazione finanziaria da un miliardo di euro.

Con Gian Paolo Manzella, sottosegretario Dem al ministero dello Sviluppo economico (Mise), il punto sull’attività del Fondo e le sue aree d’azione.

Sottosegretario Manzella, il Fondo nazionale per l’innovazione è realtà da qualche mese e il governo Conte lo ha “incardinato” presso Cassa Depositi e Prestiti per l’operatività. A che punto si è per il suo definitivo decollo?

Il Fondo nazionale per l’innovazione – uno strumento molto importante del sistema d’impresa italiano – è entrato nella sua fase operativa da pochi mesi. La sua prima operazione è stata nel settore delle startup legate allo spazio, in collaborazione con Agenzia Spaziale Italiana, il Fondo europeo per gli investimenti ed altri investitori. La prima scommessa è sulla tecnologia spaziale: cose che sembrano lontane, ma che invece sono vicinissime. Basta guardare al proprio telefono cellulare e capire quante delle sue funzioni sono legate a dati che arrivano dallo spazio. E’ un bell’inizio per uno strumento che ha tutte le carte per diventare un pezzo importante della strategia industriale del Paese.

Il Fondo può fungere da “leva” per assicurare parte della ripresa del Paese dopo l’emergenza Coronavirus che ha amplificato il calo del Pil nazionale?

Ha usato la parola giusta: “leva”. Questo è il concetto essenziale per uno strumento come il Fondo nazionale per l’innovazione. Sia quando interviene direttamente insieme ai privati, sia quando agisce come “Fondo di Fondi” – nella sostanza un “envelope” finanziario che investe in soggetti specializzati – ha un significato profondo. Significa dire ai mercati dei capitali che l’Italia sul segmento dell’innovazione c’è: che qui i Fondi nazionali e internazionali possono cercare startup su cui investire sapendo di avere la possibilità dello Stato come co-investitore, che condividerà con loro rischi e ritorni. Si creano così le condizioni perché investitori scommettano sull’Italia e sull’innovazione che nasce qui. Non solo: allo stesso tempo significa dire ai nostri incubatori, ai nostri acceleratori, ai nostri centri di ricerca, che c’è una possibilità in più per le loro idee innovative di essere finanziate, che ci sono possibili risorse da attivare, se ci si fa conoscere in Italia e, soprattutto, all’estero. E questo porterà ad investire di più su innovazione e nuova impresa.

Sono già disponibili le linee guida con cui il Fondo sarà chiamato ad operare?

Il Fondo presto comunicherà la sua strategia operativa. Ed è una strategia industriale che sarà immersa in quello che c’è: incubatori, acceleratori, enti di ricerca, regioni che sono spesso all’avanguardia. Allo stesso tempo, è una strategia che guarda al mondo, che ha l’ambizione di portare verso l’Italia risorse del mercato dei capitali internazionali che sono pronte ad investire. Penso sia lo sguardo giusto per questo settore.

Angelo Coletta, presidente di Italia Startup, l’associazione nazionale delle startup, nel corso di un’intervista a “il NordEst Quotidiano” lo scorso 23 novembre lamentava, oltre ai ritardi di attuazione del Fondo dall’entrata in vigore della legge istitutiva, anche il complessivo ritardo con cui l’Italia interviene nel settore, citando l’esempio francese dove è già da tempo attivo un fondo da 4 miliardi e si appresta a lanciarne uno nuovo da 5 miliardi. C’è qualche possibilità che anche l’Italia recuperi gli investimenti nel settore della ricerca e del sostegno alle startup, che dovrebbero essere strategici per lo sviluppo ed innovazione Paese?

Indubbiamente rispetto ad altri Paesi, l’Italia è in ritardo. Ma se io guardo ai passi che sono stati fatti negli ultimi anni, vedo progressi molto chiari. Oggi abbiamo più di diecimila imprese, realtà di accelerazione e incubazione importanti nei singoli territori, regioni e città che su questo investono: ma, soprattutto, c’è stato un passaggio culturale. Oggi le startup sono considerate una cosa molto seria, un possibile partner per le grandi imprese, un volano di crescita. Anche la capacità, nel tempo della pandemia da Coronavirus, di dare delle risposte concrete ai problemi, ha fatto capire a molti che il digitale e l’intelligenza artificiale ha una forte potenzialità anche in campo sociale. E questo, anni fa, non era affatto così. Anche per questo è essenziale intervenire adesso per tutelare questo mondo dalla crisi di liquidità che lo sta mettendo in grande difficoltà. E’ un patrimonio quello che abbiamo costruito, che è ancora in una fase nascente. Quindi ha bisogno di essere sostenuto con uo strumento come il Fondo. Proprio oggi. D’altra parte è quello che stanno facendo Germania, Francia, Gran Bretagna.

Lei afferma che sono oltre 10.000 le startup presenti in Italia. Ma quelle realmente attive sono, secondo Italia Startup, decisamente di meno, attorno alle 3.000. Perché una differenza così rilevante?

A me questa differenza non risulta. Secondo il report trimestrale appena pubblicato dal Mise, le starup sono 11.215. Il numero è quello fotografato dall’apposito registro delle imprese innovative detenuto presso le Camere di commercio che comprende quelle attive, le inattive, le fallite e quelle in liquidazione. Condivido l’opportunità di effettuare una più approfondita analisi sulla reale situazione del comparto, in modo da scattare una fotografia più puntuale del settore. Un compito che potrebbe essere svolto direttamente da Cassa Depositi e Prestiti per focalizzare al meglio l’azione e il successo del Fondo.

E per il futuro?

Poco prima dell’esplosione della pandemia da Coronavirus, Thierry Breton ha presentato la strategia industriale della Commissione per i prossimi anni. C’è un concetto che mi è molto piaciuto, quello di ecosistema dell’innovazione. La Commissione ci dice una cosa semplice: fate crescere insieme l’innovazione di un territorio o di una filiera. E insieme significa far sì che startup e imprese 4.0 collaborino, che nelle scuole si insegnino i valori dell’impresa, che le Università e i centri di ricerca trasferiscano le loro conoscenze alle imprese. E poi che ci sia un vero senso di comunità attorno a questo circuito positivo. Ecco a me piacerebbe che il futuro delle startup fosse questo. Dentro un sistema industriale che condivida valori e azioni.

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