Non solo Castelli, pure il suo collega Dem Misiani spara sul lavoro autonomo

Gravi attacchi all’impresa e al lavoro autonomo da parte di esponenti del governo BisConte. I commercialisti dichiarano lo stato di agitazione per l’eccesso di scadenze.

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lavoro autonomo
Il viceministro all'Economia Dem, Antonio Misiani.

Non bastava l’intemerata del viceministro all’Economia pentastellata Laura Castelli che si è trovata contro 50.000 ristoratori: ora ci si mette pure l’altro viceministro, il Dem Antonio Misiani, che ha messo nel mirino tutte le imprese e il lavoro autonomo che protestano per il mancato rinvio delle scadenze fiscali che rischiano di schiantare definitivamente un bel pezzo dell’economia nazionale già drammaticamente provata dalla crisi da Coronavirus.

In un’intervista ad un quotidiano nazionale, Misiani dà di fatto dei rompiballe a chi, colpevole di intraprendere autonomamente invece di starsene comodamente sul divano di casa in regime di telelavoro senza controlli o, ancora meglio, in quello di reddito di cittadinanza, ricorda come l’aver mantenuto le scadenze fiscali per oltre 34 miliardi di euro in poco più di un mese finisce per aggravare lo stato di crisi di quell’economia che ancora regge, visto che il governo BisConte drenerà dal sistema produttivo gran parte delle risorse erogate con i prestiti garantiti dallo Stato (che hanno finito con l’indebitare ulteriormente imprese e lavoratori autonomi non per mandare avanti l’azienda, ma per pagare le tasse), esponendole ancor più di prima al rischio di fallimenti e di chiusure.

Nonostante i suoi natali nella Bergamasca e una laurea in economia alla Bocconi, Misiani nell’intervista ha dichiarato di non credere che le Paritite Iva «stiano peggio degli altri contribuenti», per proseguire con un roboante «in questo Paese bisogna iniziare a dire che le imposte vanno pagate per pagare i servizi essenziali» e, non contento, «abbiamo già concesso rinvii, aiuti e sgravi».

Forse Misiani, come del resto gran parte del governo BisConte e dello stesso Partito Democratico di cui è una colonna portante, ha perso il contatto con la realtà fatta di imprese e lavoro autonomo in carenza di liquidità, con fatture emesse ma non pagate, con mesi di mancato lavoro e di conseguenti mancati incassi, con gli anticipi della cassa integrazione mai erogata dall’Inps, con erogazioni di aiuti che null’altro sono state che micragnose elemosine se confrontate con le coccole che il governo BisConte ha invece erogato a dipendenti pubblici messi in telelavoro a stipendio pieno anche in carenza di adeguata strumentazione domestica e senza eccessivi controlli sulla loro produttività, oppure alle migliaia di “navigator” che hanno continuato a percepire lo stipendio pieno senza lavorare, così come ai percettori del reddito di cittadinanza sollevati da ogni obbligo di cercare lavoro e di offrire ore di lavoro di pubblica utilità.

Insomma, sarebbe opportuno spiegare a qualcuno del governo che è opportuno cambiare al più presto registro, facendo loro comprendere che tra i servizi essenziali da continuare a pagare non rientrano certamente il reddito di cittadinanza, i bonus per i monopattini, baby sitter e vacanze, quota cento, et similia.

Se poi Misiani gonfia il petto affermando che il governo BisConte ha già aiutato le imprese, be’ sarebbe meglio riservare simili professioni di orgoglio per cause di migliore fortuna, visto che il governo di cui fa parte si è comportato nei confronti delle imprese e del lavoro autonomo come una specie di furbastro che con una mano dà qualche soldino, salvo con l’altra riprenderselo a stretto giro, mentre nei confronti delle professioni ha trattato oltre 2 milioni di Partite Iva peggio dei paria.

Secondo l’equazione che qualche cervellone di Palazzo Chigi ha elaborato parerebbe che tre mesi di mancato lavoro, cui ne va aggiunto almeno un altro di lavoro a ritmo molto ridotto, possano essere recuperati con uno schiocco di dita, tale da consentire a tutti coloro che non sono garantiti da uno stipendio pubblico o da un reddito di cittadinanza di recarsi felicemente allo sportello e pagare il doveroso tributo alle fameliche casse di una maggioranza dissipatrice e sprecona.

E vallo a spiegare ai commercialisti che se non ci sarà la proroga delle scadenze fiscali al 30 settembre «siamo pronti ad assumere azioni forti, tipo quella di non inviare i dati fiscali in mancanza di comunicazioni da parte del governo il 16 settembre» Lo annunciano le associazioni sindacali dei commercialisti (Adc – Aidc- Anc- Andoc – Fiddoc- Sic- Unagraco – Ungdcec – Unico).

La richiesta di proroga, spiegano le associazioni, «non è un capriccio dei commercialisti o delle imprese» ma una necessità di lavoratori che «sono sfiniti da un’infinità di adempimenti». Dal 16 al 30 luglio sono circa 260, ricordano i professionisti. 

Considerando che il Paese sta attraversando un «momento in cui l’economia è allo stremo» il rinvio al 30 settembre che «avevamo chiesto ci sembrava un atto dovuto». Soprattutto considerando il carico di lavoro a cui sono stati sottoposti gli studi in questo periodo: «sono stati sommersi da tantissimi adempimenti», previsti dai decreti legge sull’emergenza Coronavirus, come Cig, bonus, crediti d’imposta, affitti e sanificazioni. 

«Tutto lavoro straordinario che si è venuto a creare in momento particolare» anche per i commercialisti, «che hanno dovuto affrontare grosse difficoltà legate alle modalità di lavoro a distanza. Ma ogni volta che come categoria proponiamo qualcosa, spesso e volentieri in favore dei cittadini, sembra ci sia sistematicamente la volontà di disattendere le nostre richieste. Oltre a non essere ascoltati spesso siamo discriminati». 

Crediamo, concludono i sindacati dei commercialisti, che «ci debba esser un cambio di rotta, ad iniziare dall’essere parte attiva nel progetto di riforma fiscale, in qualità di professionisti specializzati del settore, con le nostre proposte e sedendo ai tavoli» anche per evitare che venga alla luce qualche obbrobrio improponibile partorito da chi vive sul pianeta Plutone e che non ha mai provato, prima di venire eletto ed incaricato di una responsabilità di governo, una reale esperienza di lavoro autonomo e di impresa.

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