Arera, cresce il costo dell’energia sulla spinta delle imposte e degli oneri di rete

Indagine sulle tariffe dei servizi pubblici di base: energia elettrica, gas, acqua e rifiuti.

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Tutti i rincari del 2024 energia

Bollette elettriche in crescita in tutta l’Eurozona, ulteriormente appesantite dalle imposte e dagli oneri di rete in Italia secondo quanto emerge dalla Relazione annuale pubblicata dall’Arera, una fotografia dei servizi pubblici nel Paese prima del Covid-19 che vede anche consumi di gas in crescita e prezzi italiani più alti della media UE per i clienti domestici. 

Come emerge dalla relazione Arera, nel 2019 si registra un andamento al rialzo per i prezzi al lordo delle imposte e degli oneri per i consumatori domestici di tutta Europa, andamento che in Italia è influenzato anche da un aumento dei prezzi netti (energia e costi di trasporto) più marcato. I prezzi finali delle due classi di consumo più rappresentative (consumi annui tra 1.000 kWh e 2.500 kWh/a e tra 2.500 kWh/a e 5.000 kWh/a) si attestano per la prima ancora sotto la media dell’Area euro, rispettivamente a -5% (da -10% del 2018) e la seconda con lieve scarto dall’Area euro (+2%, rispetto a -5% del 2018), in un andamento di crescita di cui sarà importante verificare andamento e ragioni. Le classi di consumo successive confermano livelli superiori a quelli dell’Area euro, sia al lordo che al netto di imposte e oneri. 

Mentre la struttura del prezzo netto è digressiva, la componente fiscale che grava sui consumatori domestici b presenta ancora una struttura non digressiva, a differenza di quanto accade nel resto dell’Unione Europea, rispetto alla quale tale componente risulta più alta per le classi a più alto consumo (fino al 20% in più) e viceversa più bassa per le classi 2 inferiori (fino al 25% in meno).

L’introduzione della nuova metodologia Eurostat di rilevazione e la conseguente riclassificazione dei clienti per fasce di consumo, nonché l’effettuazione di conguagli in ragione della sopravvenuta prescrizione biennale delle fatture, possono invece avere influenzato la dinamica dei prezzi, storicamente più bassi, della prima classe in Italia (consumi fino a 1.000 kWh/a): per quest’ultima si è infatti passati da forti differenziali negativi a decisi distacchi positivi rispetto alla media dell’Area euro. Con l’entrata in vigore e completamento della riforma delle tariffe elettriche introdotta dall’Autorità (1° gennaio 2016) ha avuto inizio il progressivo riallineamento dei corrispettivi di rete applicati alle diverse classi di consumo, che ha contribuito ad avvicinare i prezzi netti italiani a quelli medi europei, grazie al graduale superamento della previgente struttura progressiva delle tariffe. 

Tra i principali paesi europei, la Germania si conferma il paese con i prezzi più alti per i clienti domestici di energia elettrica per tutte le classi, esclusa la prima con consumi sotto i 1.000 kWh/a, dove più cari sono i prezzi di Spagna e Italia. Rispetto alla Germania, i clienti domestici italiani pagano via via prezzi inferiori al diminuire della classe di consumo dal -10% della fascia più alta di consumo al -26% della fascia tra 1.000 e 2.500 kWh/a. 

Se la tariffa per le famiglie in Italia è tutto sommato conveniente, quella per usi industriali è decisamente più cara. Dopo i positivi dati degli anni 2017 e 2018, che avevano visto per il settore industriale una progressiva riduzione del divario tra i prezzi medi lordi italiani e quelli più convenienti dell’Area euro, per il 2019 si registra una pausa di questa favorevole tendenza: torna infatti a crescere il divario con i prezzi medi dell’Eurozona, con i clienti industriali che nel 2019 continuano a pagare prezzi più alti di quelli della media dell’Area Euro, per tutte le classi, a causa del rialzo dei prezzi netti (energia e costi di trasporto) e delle imposte e oneri. 

Per la prima classe di consumo (consumi inferiori a 20 MWh) si è passati, rispettivamente, dal +8% del 2018 al +45% del 2019, mentre per le altre (consumi tra 20-500, 500-2.000, 2.000-20.000 MWh/a) si è passati da circa il +10% del 2018 a valori prossimi al 20%. Anche per le classi con consumi tra i 20.000 e 70.000 MWh/a e da 70.000 a 150.000 MWh/a si passa rispettivamente dal 6% al 18% e dal -12% al +9%.

I differenziali di prezzo sembrano tornati su livelli prossimi a quelli registrati nel 2016, anche se restano ancora ben inferiori a quelli degli anni precedenti, quando si attestavano tutti su valori vicini al 30%. Nel dettaglio, nel 2017 i prezzi finali dei clienti industriali italiani avevano beneficiato di diminuzioni dei prezzi netti più spiccate rispetto all’Area euro, almeno per le prime quattro classi, nonché di riduzioni della componente oneri e imposte. Sui valori del 2018, poi, aveva influito positivamente un’ancora più marcata riduzione della componente oneri e imposte, in grado di più che compensare i maggiori aumenti che, invece, avevano riguardato i prezzi netti italiani di quasi tutte le classi. 

La situazione del 2019 appare, al contrario, determinata sia da ulteriori maggiori aumenti dei prezzi netti rispetto a quelli che hanno interessato l’Area euro, sia da aumenti ancora più consistenti della componente oneri e imposte. I prezzi italiani comunque si confermano più bassi, come di consueto, di quelli dei consumatori industriali tedeschi ad eccezione della prima classe di consumo, ma anche di quelli inglesi almeno per le ultime tre classi di consumo, mentre la Spagna mantiene prezzi più bassi in tutte le classi di consumo e aumenta il divario con i prezzi più bassi della Francia (fino a +60% per le classi a maggiori consumi). 

Nel 2019 l’uso di energia rinnovabile tiene il passo (+0,4%) nonostante la contrazione dell’idroelettrico dopo il boom del 2018 a -6,2% e del geotermico con -1,2%. Praticamente certificata l’uscita dal carbone che ha quasi dimezzato la sua produzione (-46,9%), compensata dall’aumento della produzione a gas naturale (+11,4%) e da quella derivante dai prodotti petroliferi (+2,4%), mentre la fonte gas ha assicurato quasi la metà (49,1%) della produzione lorda (dal 44,4% del 2018). 

La quota di Enel nella produzione è stata del 17% (19,4% nel 2018), ancora in calo. Per la prima volta Enel non ricopre più il ruolo di primo operatore nella generazione termoelettrica, essendo risultata maggiore la produzione di Eni, pur a fronte di una potenza installata inferiore. 

La quantità di energia elettrica incentivata rimane invariata sui 63 TWh, per un costo del sistema anch’esso stabile sugli 11 miliardi di euro, su un totale di oneri generali di circa 15 miliardi di euro. La quantità di energia elettrica acquistata dal Sistema Italia, invece, è stata pari a 295,8 TWh (+0,1 rispetto al 2018). 

Per quel che riguarda i consumi di energia elettrica (301,4 TWh) il 2019 registra una lieve diminuzione del -1% (contro il +0,5% del 2018), dovuta principalmente al calo dei consumi nel settore agricolo e industriale (-2% ciascuno), parzialmente compensati da quello domestico (+1%). L’88% della domanda nazionale è stata soddisfatta dalla produzione interna, in aumento di circa un punto percentuale, riducendo l’import (-7%) e aumentando l’export (+78% ma sempre limitato in valori assoluti). La produzione nazionale lorda si è mantenuta pressoché costante, da 289,7 TWh nel 2018 a 291,7 TWh nel 2019 (+0,7%). 

Arera ha indagato anche la distribuzione del mercato dell’energia. Il 49% dei clienti domestici nel 2019 si trova nel mercato libero, in aumento del 3% rispetto al 46,4% registrato nel 2018. Si assottiglia così la differenza dei consumi medi tra famiglie nel mercato libero, mediamente 2.063 kWh/anno, e in quello tutelato, 1.869 kWh/anno, segno che se prima si sono spostati i clienti domestici con maggiori consumi ora il processo si sta allargando alle altre famiglie.

Dall’analisi dei dati della distribuzione, emerge che i consumi elettrici delle famiglie italiane sono piuttosto contenuti: il 53,5% dei clienti domestici si colloca nella fascia di consumo annuo che non supera i 1.800 kWh e preleva un quarto di tutta l’energia elettrica distribuita ai clienti domestici, mentre il restante 46,5% (con consumi medi superiori a >1.800 kWh) preleva il 73,8% del totale. Le famiglie dunque consumano circa il 22% di tutta l’energia distribuita che dimostra come nel 2019 la sostituzione del fornitore elettrico da parte delle famiglie è aumentata rispetto al 2018 (14,3% contro il 9,1% del 2018 in termini di punti di prelievo e 16,9% contro il 10,2% del 2018 in termini di volumi). 

Per quel che riguarda il lato offerta, dice ancora Arera, anche nel 2019 è cresciuto in maniera decisa il numero dei venditori sul mercato al dettaglio (+88 unità nel mercato libero, raggiungendo il numero di 723 operatori) confermando un andamento di espansione che procede ininterrottamente dalla liberalizzazione del 2007. L’operatore dominante dell’intero mercato elettrico italiano resta il gruppo Enel, quest’anno con una quota in lieve discesa dal 37,6% del 2018 a 36% dei volumi venduti, seguito a grande distanza da Edison (in aumento al 5,4%) e da Hera al 4,9 dal 4,3%. Complessivamente, i primi cinque operatori detengono l’82,5% del settore domestico (l’84,7% nel 2018), anche se complessivamente, rispetto al 2018, si registra una minima diminuzione del livello di concentrazione del mercato, con la quota dei primi tre operatori passata dal 46,8% al 46,3% delle vendite complessive. 

Nel 2019 il prezzo medio dell’energia elettrica (ponderato con le quantità vendute), al netto delle imposte, praticato dalle imprese di vendita ai clienti domestici, è stato pari a 21,50 eurocent/kWh nel servizio di maggior tutela e a 24,21eurocent/kWh nel mercato libero. Il differenziale tra i due mercati, in parte spiegabile con ampie differenze nelle tipologie di contratti disponibili sui due mercati, è risultato quindi di 2,7 centesimi di euro, che scende a 2,6 centesimi se si guarda alla sola componente di costo per la materia energia (10,19 eurocent/kWh nella tutela contro 12,81 eurocent/kWh nel libero).

Passando al gas metano, secondo Arera il grado di dipendenza dall’estero ha raggiunto nel 2019 il massimo storico, toccando quota 95,4% (93,4% nel 2018). Nel 2019 la produzione nazionale di gas ha subito un nuovo marcato calo pari al -10,9% rispetto al 2018, attestandosi a 4,85 miliardi di metri cubi, soprattutto per la riduzione della produzione in mare (- 13%), mentre quella in terraferma è cresciuta del 5%. Le importazioni dunque hanno raggiunto i 70,9 miliardi di metri cubi, in aumento del 4,5% rispetto al 2018. Con l’eccezione dei volumi provenienti dall’Algeria, che sono diminuiti del 25,6% rispetto al 2018, sono cresciute le importazioni da tutti gli altri paesi da cui l’Italia acquista il gas. 

Nel 2019 l’Italia ha importato 3 miliardi di metri cubi in più dalla Norvegia, 1,2 in più dalla Libia, 0,5 in più dall’Olanda e 0,2 in più dalla Russia; sono inoltre aumentati di circa 2,7 miliardi di metri cubi (cioè del 125%) i volumi provenienti dalle altre zone (significativi i carichi di GNL provenienti da Trinidad Tobago, per 1,4 miliardi di metri cubi, e 1,6 miliardi dagli Stati Uniti, consegnati presso il terminale di Livorno). Nel 2019, quindi, il peso della Russia tra i paesi che esportano in Italia è leggermente diminuito al 46% (era al 47,7% nel 2018), mentre la quota dell’Algeria è scesa dal 26,5% al 18,8%. Il terzo paese per importanza è il Qatar da cui arriva il 9,2% del gas complessivamente importato in Italia (9,6% nel 2018), seguito dalla Norvegia la cui quota è all’8,7% e dalla Libia all’8%. Il 6,8% delle importazioni italiane nel 2019 è arrivato dall’insieme degli altri paesi. Grazie al significativo incremento della quota norvegese, l’incidenza delle importazioni dal Nord Europa (cioè da Norvegia e Olanda insieme) è salita all’11,1%, dal 6,5% del 2018. 

In questo contesto appare sempre più ingiustificata la decisione di rinunciare allo sfruttamento dei giacimenti scoperti nei fondali del mare Adriatico centrale e meridionale, che andranno a vantaggio della Croazia, Grecia e pure del Montenegro, dai quali, con molta poca lungimiranza, l’Italia poi importerà a maggior costo il gas.

Quanto al servizio idrico, Arera rileva come negli ultimi 4 anni sono stati attivati investimenti per quasi 12 miliardi, di cui 9 miliardi con la tariffa Arera (che ammonta in media a 312 euro l’anno per una famiglia media, con un valore più contenuto nel NordOvest e più elevato nel Centro) e quasi 3 con fondi pubblici. Gli investimenti servono soprattutto a fronteggiare le perdite idriche (le risorse destinate a questa voce sono circa un quarto del fabbisogno totale del campione per il biennio 2018-19): la perdita media di acqua dagli acquedotti è del 43%. 

Infine il settore dei rifiuti che conta 6.568 operatori, di cui 6.530 gestori, nella quasi maggioranza (88,2%) enti pubblici. La gestione è frammentata in 1.334 enti. Forti le differenze di costi per aree geografiche: si passa da situazioni in cui il conferimento nelle discariche vale 9 euro/tonnellata a zone in cui arriva a 187 euro/tonnellata; così come nei 189 impianti censiti, si passa da un minimo di 66 euro/tonnellata a un massimo di 193 euro/tonnellata. Vista questa disomogeneità di trattamento, Arera sta cercando di introdurre un metodo tariffario per trasparenza e costi standard.

«Le bollette elettriche degli italiani risultano tra le più care d’Europa perché nel nostro paese su luce e gas vige una tassazione abnorme, al punto che oggi sul quasi la metà della spesa energetica annua delle famiglie se ne va in oneri e imposte variedenuncia il presidente del Codacons, Carlo Rienzi -. Con le nuove tariffe scattate lo scorso 1° luglio gli utenti si ritrovano a pagare su ogni bolletta del gas addirittura il 49,17% di tasse (imposte e oneri di sistema) e il 39,13% sull’elettricità, con una tassazione in forte crescita sul trimestre precedente. Questo significa che nel 2020, considerata la spesa media annua per l’energia, ogni famiglia pagherà 495 euro di tasse sul gas e 194 euro sulla luce. Tutto ciò in un momento in cui milioni di nuclei, a causa della crisi legata al Coronavirus, si ritrovano in grandi difficoltà economiche e fanno fatica a pagare le utenze domestiche».

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