La superficialità nella gestione dell’economia da parte del governo BisConte emerge anche dalla denuncia che il presidente dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, Zeno D’Agostino, ha fatto davanti alla I e alla IV Commissione consiliare del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia: «lo Stato italiano, nell’ambito della sua comunicazione a Bruxelles relativa ai territori extra doganali, si è dimenticato di dire che esiste il Porto franco di Trieste. E anche di aggiungere che ha tutti i requisiti in regola per essere presente nella lista. Una dimenticanza che non fa bene alla città e all’intero Friuli Venezia Giulia, ma anche un autentico problema politico: abbiamo la legge dalla nostra parte e persino un trattato internazionale che dice che l’Italia deve farsi viva a Bruxelles per ovviare alla sua omissione».
Una dimenticanza che rischia di costare cara al sistema economico giuliano. «La cosa paradossale – ha aggiunto D’Agostino – è che, se andiamo a vedere quella lista, troviamo addirittura le isole Faroe per la Danimarca, le enclave in territorio africano di Ceuta e Melilla per la Spagna e la Polinesia per la Francia. Io, invece, devo sentirmi dire che Trieste non può esserci, perché creiamo scompensi alla competitività europea». Inoltre, ha proseguito, mentre «noi siamo qui a perdere opportunità preziose e legittime, l’ufficio legislativo del ministero per l’Economia e le Finanze (Mef) non riconosce l’extraterritorialità doganale di Trieste, perché non riesce a interpretare il fatto che un trattato internazionale deve essere rispettato».
Ancora una volta la burocrazia ministeriale mette i bastoni tra le ruote all’economia italiana e del NordEst in particolare, quando in un momento di drammatica crisi come quello attuale dovrebbe correre per agevolare al massimo l’attività delle imprese e delle infrastrutture strategiche come il porto di Trieste.
«Il Porto franco – prosegue D’Agostino – potrebbe essere il luogo dove le imprese tornano a fare attività e a essere aggressive. Basta leggere i venti articoli dell’allegato ottavo del Trattato di pace di Parigi del 1947 e le poche righe nel Memorandum di Londra del 1954 per apprendere che il porto di Trieste gode di determinati benefici e che qui devono essere applicati, addirittura quelli migliori tra tutte le zone franche del mondo».
In precedenza, era stato ricordato come il direttore generale dell’Agenzia Dogane Monopoli, Marcello Minenna, abbia annunciato un Tavolo permanente su oleodotto, corridoio ferroviario e soprattutto sul regime di Porto franco, mentre Lucia Napolitano (direttore dell’ufficio delle Dogane del capoluogo giuliano) ha evidenziato come «il Porto franco di Trieste sia costituito da svariati punti franchi: Vecchio, Nuovo, Scalo legnami, Porto industriale, Trieste e Fernetti. I primi risalgono al 1719 e sono diventati internazionali grazie ai trattati del 1947 e del 1954. Le disposizioni, inoltre, sono state fatte proprie sia a livello comunitario che nazionale. L’Agenzia punta a rendersi parte attiva e ha da poco concluso un accordo con Assoporti per valorizzare anche quello di Trieste in attesa di un tavolo tecnico che coinvolgerà anche l’Autorità portuale».
Stefano Visintin, presidente della Confederazione regionale delle categorie degli spedizionieri internazionali, agenti marittimi e terminalisti portuali, è invece partito dalla «certezza che la trasformazione industriale delle merci nel Porto franco di Trieste è fattibile, nonché prevista anche da un decreto del 1959. Perché farlo? Intanto, smentisco la possibilità di pagare di meno i lavoratori, perché vengono applicati i contratti di lavoro nazionali con forti controlli da parte dell’Autorità di sistema. Inoltre, la Dogana rende impossibili falsificazioni o contrabbando, proprio perché il Porto franco è soggetto a maggiori controlli. L’utilità è dunque legata al fatto che le merci rimangono allo Stato estero e chi le detiene non deve anticipare dazi e Iva prima che vengano immesse nel territorio comunitario politico dell’Unione europea». Un vantaggio non da poco in termini di liquidità, specie quando questa è sempre più scarsa.
Infine, le lavorazioni industriali «all’interno del Porto franco potrebbero essere utili per la vantaggiosa acquisizione dell’origine comunitaria. Il cardine della procedura doganale di perfezionamento attivo è invece legato alla valutazione delle condizioni economiche. Nella Ue – si è lamentato Visintin – ci sono 77 zone franche, perciò Trieste si ritrova alla pari con altri 76 soggetti e la soluzione deve essere drastica: il Governo deve comunicare all’Ue che lo scalo giuliano deve essere inserito nella lista delle aree non doganali dopo che, per troppi anni, la comunicazione non è avvenuta in modo corretto».
D’Agostino ha infine ricordato che «l’Europa verificherà se ci sono le basi giuridiche. L’ostacolo più insidioso non è tuttavia Bruxelles, ma Roma: deve essere convinta e, come già fatto nei confronti di Campione d’Italia, ora deve fare l’opposto a vantaggio di Trieste».
In questo contesto, c’è da registrare che, su pressione olandese, l’Unione europea ha portato la compartecipazione dei porti europei alla riscossione dei dazi al 25%. Ovvio che per realtà come Rotterdam che costituisce la porta d’ingresso di gran parte delle merci dirette in Europa provenienti dal resto del mondo e, soprattutto, da Oriente, ciò costituisce un fortissimo incremento delle entrate fiscali. Entrate che potrebbero essere legittimamente ridotte se realtà come il porto di Trieste fosse messa in grado di correre, diventando, assieme a Genova, il terminal preferito di tutte le merci in arrivo da Oriente e dirette verso il Centro-Sud Europa, che ora arrivano da Nord proprio dal porto di Rottardam con inutile aggravio di migliaia di chilometri di percorrenza (e di emissioni inquinanti) via mare e via terra.
Intanto, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale cambia l’assetto gestionale di Adriaferr, società controllata al 100% per gestire l’ulteriore sviluppo ferroviario e gli investimenti programmati, attivando il consiglio di amministrazione, previsto dallo statuto sociale della Srl. «L’organo amministrativo non può essere solo monocratico, ma collegiale. Servono figure professionali che, per esperienza e conoscenza, supportino la crescita della società, in linea con i passi importanti realizzati negli ultimi cinque anni», osserva Zeno D’Agostino.
Composto da tre consiglieri, il nuovo vertice di Adriaferr inizierà a operare da fine luglio e resterà in carica per tre anni. Giuseppe Casini, che è stato amministratore unico, ricoprirà la carica di presidente del consiglio d’amministrazione. L’incarico di amministratore delegato è affidato a Maurizio Cociancich, mentre Sonia Lussi sarà consigliere e Bruno Caleo direttore generale.
L’ultima assemblea ha deliberato anche il potenziamento finanziario della società, con un aumento di capitale gratuito di 300.000 euro, grazie agli utili derivanti dagli avanzi di bilancio degli anni precedenti. È stato inoltre disposto un ulteriore aumento di capitale fino a 2 milioni che potrà essere sottoscritto dal socio unico, l’Autorità di Sistema Portuale, con tranche da 300.000 euro nei prossimi anni.
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