Indagine Mediobanca sulle imprese industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione

La manifattura va meglio del previsto con gran parte dei cali già recuperati. 

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imprese industriali

L’Area Studi Mediobanca presenta l’aggiornamento annuale sui dati di bilancio aggregati delle principali imprese industriali e di servizi italiane. I dati si riferiscono al decennio 2010-2019. L’analisi si basa su insiemi chiusi che censiscono imprese in continuità d’esercizio durante il decennio. 

In particolare, sono esaminate le 2.120 società italiane che rappresentano il 47% del fatturato industriale e il 48% di quello manifatturiero, il 35% di quello dei trasporti e il 39% della distribuzione al dettaglio (peso su dati Istat). Le imprese a controllo estero comprese nell’indagine rappresentano il 57% di quelle con più di 250 addetti operanti in Italia e il 90% delle sole manifatturiere. Sono incluse tutte le aziende italiane con più di 500 dipendenti e circa il 20% di quelle di medie dimensioni manifatturiere (50-499 addetti). 

In base all’assetto proprietario di fine 2019, il fatturato delle 2.120 società si ripartisce come segue: il 20% è relativo a 141 imprese controllate dalle amministrazioni pubbliche italiane, il 46% riguarda 1.405 imprese controllate da privati di nazionalità italiana e il 34% si riferisce a 574 società che fanno capo a soggetti di nazionalità estera (privati e pubblici). 

L’origine sanitaria della crisi attuale non ha precedenti recenti e i confronti sono spesso riferiti agli shock che hanno investito l’Italia a metà degli anni ’70 (crisi petrolifera) e nel 2008 (fallimento Lehman). Nel 1975 il fatturato reale dei maggiori gruppi industriali italiani è caduto del 2,1%, il loro valore aggiunto del 3,3%, il numero dei dipendenti si è ridotto dell’1%. Il consumo di energia è arretrato del 4,4%. Nel 2009, il fatturato è crollato del 14,7%, il valore aggiunto del 6,1%, l’occupazione del 2,3%. Il consumo energetico ha perso il 5,7%. 

Le maggiori imprese industriali italiane sono state colpite dalla crisi attuale in una condizione di relativo vantaggio rispetto al passato sotto il profilo patrimoniale (ad esempio, in termini di dotazione di liquidità e livello di debito), meno sotto quello economico (ad esempio, il Roi). Al rafforzamento patrimoniale degli ultimi anni ha concorso anche la caduta del “tax rate”, passato dal 27,4% del 2015 al 19,4% del 2019. Appare invece indebolito, soprattutto nel confronto con gli anni ’70, il sostegno proveniente dagli investimenti. 

Il settore pubblico ha visto ristagnare il proprio fatturato dal 2010 e presenta un livello d’indebitamento relativamente più alto (108,5%) rispetto a quello privato (68,7%) che nel decennio ha inoltre messo a segno una crescita importante dei ricavi (+14,6%). La modesta dinamica delle vendite del comparto pubblico deriva dalla sua forte presenza nel segmento petrolifero (-9,9% dal 2010) e in quello della distribuzione energetica (+1,6%). Si tratta di attività fortemente esposte al prezzo del greggio. Tuttavia, il comparto pubblico affronta il 2020 dopo un triennio di investimenti relativamente più intensi (19,7% del fatturato, 12,4% le imprese private). 

–  La manifattura ha corso dal 2010: +20,7% le vendite, con una struttura patrimoniale oggi solida (50,3% i debiti finanziari sui mezzi propri) e ampia capacità di assorbire il costo (peraltro basso) del debito (gearing: 10x). Tuttavia, l’ultimo triennio ha visto una campagna d’investimento non particolarmente intensa (10,2% del fatturato). 

–  Il comparto dei servizi è più sofferente: segna un progresso di fatturato dell’8,1% dal 2010, un più elevato livello d’indebitamento (119,8% sul capitale netto) e un gearing conseguentemente più basso (7x). Appare, per contro, intenso il flusso degli investimenti (24%), sostenuto soprattutto dal comparto delle TLC (55,4%). 

–  Si segnala il forte abbrivio delle medie imprese industriali familiari, con una crescita di vendite dal 2010 del 30,7% che si abbina a un’importante dotazione di liquidità (14,3% del totale attivo), un contenuto debito finanziario (51,8%) e un gearing elevato (16,2x). Elevata anche la redditività (Roi al 9,1%), con un flusso di investimenti comunque superiore alla media della manifattura (10,9%). 

–  Circa i singoli settori merceologici, la flessione di fatturato attesa per il 2020 è destinata a produrre conseguenze maggiori sui settori che nel 2019 non erano ancora riusciti a superare le vendite del 2010. Tra di essi si segnalano: l’editoria (-33,8%), le TLC (-24,9%), l’impiantistico (-17,9%), gli elettrodomestici (-13,7%), le TV (-12,6%), il petrolio (-9,9%), i prodotti per l’edilizia (-9,5%) e l’elettronica (-0,6%). 

–  Considerando i margini industriali (Mon), la crisi del 2020 colpisce le imprese industriali in condizioni di maggior sofferenza. Nel 2019, complessivamente, l’industria ha segnato margini inferiori del 5,6% rispetto al 2010, con un impatto più pesante sul comparto pubblico (-13,5%) rispetto a quello privato (-2,6%). Alla dinamica molto positiva della manifattura (+31,5%) si contrappone quella negativa del terziario (-32,5%). In forte flessione le imprese a controllo estero (-24,6%), mentre è ancora assai positivo il consuntivo delle medie imprese familiari italiane (+55,7%). Tra i settori che segnano i maggiori ritardi sul 2010 si segnalano: le TV (-87,1%), l’impiantistico (-80%), l’editoria (-64,5%) e le telecomunicazioni (-59%). Hanno segnato margini industriali negativi nel 2019 il settore degli elettrodomestici, l’elettronico e il petrolifero che quindi presentano un quadro di fragilità ancora superiore. 

Quanto al futuro prossimo e non, alcuni indicatori congiunturali mostrano una rapida ripresa dell’attività economica. A luglio 2020 il consumo interno lordo di gas ha segnato un -4% sul luglio precedente, la minore flessione del 2020 (era -8,5% a gennaio, prima del confinamento, e ha toccato il -24% in maggio), la richiesta di energia elettrica, sempre in luglio, ha flesso del 7% sul 2019 (-4% in gennaio, -17,2% il picco negativo di aprile), il traffico autostradale sulla rete di Atlantia nella 35esima settimana dell’anno (terminata il 30 agosto 2020) ha perso il 6,1% sul 2019. Nella stessa settimana, la rete di Abertis Spagna ha perso il 21%, quella di Abertis Francia il 12,1%. Il consumo di benzina in luglio ha perso il 5,8% sull’anno prima. A luglio la produzione industriale (destagionalizzata, escluse le costruzioni) ha segnato una flessione del 3,6% su dicembre 2019 e del 7,6% su luglio. Nell’insieme, non si tratta di distanze incolmabili. 

L’andamento del 2020 dipenderà dal quadro sanitario, che potrà anche evolvere in modo asincrono tra i Paesi, dalla dinamica della spesa dei consumatori e dalla loro volontà di riprendere i consumi nelle nuove modalità di fruizione. Per le imprese, saranno cruciali l’evoluzione del commercio internazionale e la capacità di internalizzare efficacemente i nuovi modi di produrre. Nel complesso, nel 2020 si prefigura per i maggiori gruppi industriali una caduta del fatturato nell’ordine del 13%, con un andamento migliore per la manifattura che potrebbe flettere in misura inferiore al 10%, attorno al 9%, tenuto conto che la sua produzione industriale a giugno ha riportato una riduzione del 4% sul mese di dicembre (-7,4% su luglio) e il quadro dovrebbe migliorare nella restante parte dell’anno. Si tratta di una prospettiva lontana dalle attese di calo in doppia cifra (attorno al 20%) diffuse nella fase acuta della pandemia, anche se gli effetti negativi saranno superiori per le PMI rispetto alle maggiori imprese industriali qui esaminate. 

Al di fuori della manifattura, flessioni importanti dovrebbero colpire l’edilizia (-20% circa), l’immobiliare (-22%), i trasporti (-19%), con penalizzazione maggiore per quelli di persone rispetto alle merci, il petrolifero (-13%), la fornitura di energia e gas (-12%), anche per l’avversa dinamica delle quotazioni petrolifere, e tutto il comparto del commercio non food con flessioni tra il 20% e il 30%. ll commercio alimentare potrebbe chiudere su livelli invariati, con una flessione di quello legato al canale Ho.Re.Ca. All’interno della manifattura i pochi segni positivi dovrebbero riguardare il farmaceutico (+4%) e l’alimentare (+2%), al cui interno soffrono maggiormente i produttori di bevande legati all’Ho.Re.Ca e al turismo. Altri comparti, per via del ruolo strumentale delle proprie produzioni nella gestione della crisi sanitaria, sono candidati a flessioni di entità relativamente limitata: si tratta, ad esempio, del chimico (-7%), del cartario (-7%) e della produzione di vetro per uso medico (-5%). 

Se questo scenario fosse confermato, si configurerebbe un 2020 non peggiore del 2009, quando le maggiori imprese industriali persero il 14,7% del fatturato e quelle manifatturiere il 16,2%. Il valore aggiunto dell’industria potrebbe perdere nel 2020 meno del 5% rispetto al -6,1% del 2009, tenuto conto della sospensione dei costi operativi durante il confinamento, delle moratorie sul debito, delle misure di sostegno pubblico al costo del lavoro e alla liquidità e del ricorso a modalità di lavoro da remoto che hanno ulteriormente ridotto i costi. 

Circa il 2021, in assenza di peggioramenti del quadro pandemico, si prospetta una ripresa del fatturato manifatturiero del 5,9% (+7,7% nel 2010) e del 7,5% per l’industria (+7,4% nel 2010). 

L’indagine completa di Mediobanca è disponibile a questo link.

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