Bilanci a doppia velocità: le Pmi sono calate del 13,5%. I giganti del Web cresciuti dal 17%

Il conteggio della Cgia che ha visto il sistema imprenditoriale nazionale perdere 420 miliardi di fatturato.

0
432
fondo sviluppo e coesione

Bilanci a doppia velocità nel corso del 2020: per le Pmi è stato un anno da tregenda, con perdite da far tremare i polsi per ben 420 miliardi di euro, con un crollo del 13,5% a fronte di una crescita dei fatturati delle multinazionali di oltre il 17%. A tanto ammonta, secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, la perdita di fatturato registrata quest’anno dalle imprese italiane a causa del Covid-19. 

«Al netto delle misure a sostegno della liquidità e agli effetti dello slittamento delle scadenze fiscali – denuncia il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – il Governo quest’anno ha stanziato 29 miliardi di euro di aiuti diretti alle imprese colpite dalla pandemia. Ciò vuol dire che a fronte di un crollo del fatturato dell’intero sistema economico del nostro Paese di circa 420 miliardi di euro, il tasso di copertura ha sfiorato il 7%. Un impatto insignificante, sebbene in termini assoluti l’importo complessivo delle misure messe in campo a sostegno delle attività economiche abbia la dimensione di una Finanziaria».

L’Ufficio studi della Cgia evidenzia che il fatturato totale delle imprese in Italia è pari a poco più di 3.100 miliardi di euro. Con una perdita dei ricavi relativa al 2020 che dovrebbe aggirarsi attorno ai 420 miliardi, la contrazione rispetto al 2019 sarebbe del 13,5%. Di tutt’altro segno, invece, i risultati ottenuti dalle multinazionali del web attive in Italia. In attesa del dato annuale, secondo l’area studi di Mediobanca, nel primo semestre del 2020 il fatturato dei “bigdigitali è aumentato del 17%: un vero e proprio boom spesso in presenza di un gettito tributario irrisorio grazie alle politiche di ottimizzazione fiscale messe in atto dai colossi multinazionali.

Guardando solo alle Pmi, «quelle che hanno subito i contraccolpi più negativi della crisi, sono quelle che hanno dovuto in gran parte chiudere per decreto, con i ristori erogati dall’Esecutivo che hanno coperto mediamente il 25% circa del calo del fatturato – evidenzia il segretario della Cgia, Renato Mason -. Le misure di sostegno al reddito approvate da Governo Conte, infatti, sono andate in larghissima parte alle attività che hanno registrato un crollo del giro di affari di almeno il 33% rispetto al 2019. Resta il fatto che anche per queste realtà gli aiuti economici sono stati insufficienti». 

Escludendo gli alberghi, i ristoranti, i bar, le pasticcerie e tutte le attività che ruotano attorno al settore del turismo, la Cgia elenca le aree economiche maggiormente colpite dalla crisi:

– la filiera trasporto persone (taxi, ncc, bus operator);

– la filiera eventi (congressi, matrimoni, cerimonie, etc.);

– gli ambulanti, soprattutto con posteggi presso le aree interessate da eventi, stadi (i cosiddetti “fieristi”);

– la filiera sport, tempo libero, intrattenimento, discoteche, parchi divertimento e tematici (incluse le attività dello spettacolo viaggiante);

– la filiera attività culturali e spettacolo;

– il commercio al dettaglio, in particolar modo abbigliamento, calzature, libri e articoli di cartoleria;

– gli agenti di commercio. 

Scartando le misure che sono state introdotte a sostegno della liquidità e agli effetti dovuti allo slittamento di alcune scadenze fiscali, nel 2020 il governo BisConte ha messo a disposizione delle imprese 29,1 miliardi di euro. La voce più importante è stata quella dei contributi a fondo perduto che ammonta a 11,3 miliardi di euro. Seguono altri interventi di indennizzo ai settori più vari che assommano a 7,9 miliardi e la cancellazione del saldo 2019 e dell’acconto 2020 dell’Irap che ha consentito uno sgravio di 3,9 miliardi. Le agevolazioni fiscali per le sanificazioni e i canoni di locazione hanno permesso un risparmio pari a 5,1 miliardi, mentre la cancellazione dell’Imu e della Tosap/Cosap ha garantito una riduzione della tassazione locale pari a 802 milioni di euro.

In merito alle misure a sostegno delle attività costrette a chiudere completamente o parzialmente, a fronte di provvedimenti che impongono la chiusura delle attività economiche per motivi di sanità pubblica, queste ultime devono essere aiutate economicamente in misura maggiore di quanto è stato fatto fino ad ora. 

E’ vero che questa ulteriore spesa corrente contribuirebbe ad aumentare il debito pubblico, ma è altrettanto vero che se non si salvano le imprese e i posti di lavoro, non si gettano le basi per far ripartire la crescita economica, unica condizione in grado di ridurre nei prossimi anni la mole di debito pubblico che sta minando il futuro dell’Italia.  

Alle attività chiuse per decreto non sono più sufficienti dei semplici ristori, ma è necessario uno stanziamento che compensi quasi totalmente sia i mancati incassi sia le spese correnti che continuano a sostenere. Insomma, bisogna passare dalla logica dei ristori a quella dei rimborsi. 

Lo stesso trattamento va riservato a quei comparti che seppur in attività è come se non lo fossero, come le imprese commerciali ed artigianali ubicate nelle cosiddette città d’arte che hanno subito un tracollo delle presenze turistiche straniere. 

Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “Il NordEst Quotidiano”, consultate i canali social:

Telegram

https://t.me/ilnordest

Twitter

https://twitter.com/nestquotidiano

Linkedin

https://www.linkedin.com/company/ilnordestquotidiano/

Facebook

https://www.facebook.com/ilnordestquotidian/

© Riproduzione Riservata